giovedì 30 aprile 2020
Speriamo che tengano i freni
Ci voleva il coronavirus perché Massimo si decidesse a far qualcosa di utile. Settimane fa ha sistemato le foto di un viaggio di 11 anni fa (la "vuelta" da Sevilla).
Ma sta migliorando: mi invia ora un video del novembre 2015. Da Gondar a Addis Abeba, in bus, con anche crociera sul Lago Tana. Il passaggio del Nilo blu è a 6'50'' (l'iniziale auspicio ai freni è per quello, perché la discesa è impegnativa). E alla fine si canta e si balla.
PS. Primo maggio: Massimo ha addirittura organizzato le foto del viaggio in Etiopia.
E più interessante ancora è la storia suo nonno, che combatté in Etiopia: "per chi fosse interessato a vedere come lo Stato può rovinarti la vita."
lunedì 20 aprile 2020
Il "modello ping-pong", un mese dopo
Oggi sul Corriere della Sera Margherita de Bac, a proposito del numero di infetti da coronavirus che diminuisce, ma molto lentamente, racconta che gli "esperti avevano aspettative più alte".
E in particolare Giovanni Rezza, del dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, conferma "che l’attenzione va spostata tra le mura domestiche dove i contatti sono molto ravvicinati e possono caratterizzare «la coda dei casi»."
Esattamente quanto supponevo un mese fa esatto, qui: Il “modello ping-pong”: perché col coronavirus stiamo sbagliando".
Ma l'Italia era accecata dal pensiero del "tutti a casa" come soluzione catartica, e a Roma v'era un encefalogramma piatto, oggi ben condito dal florilegio di task force.
(Task force: se c'è di mezzo un termine in inglese, la fregatura è assicurata: ricordate la spending review? vedi qui e qui).
E in particolare Giovanni Rezza, del dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, conferma "che l’attenzione va spostata tra le mura domestiche dove i contatti sono molto ravvicinati e possono caratterizzare «la coda dei casi»."
Esattamente quanto supponevo un mese fa esatto, qui: Il “modello ping-pong”: perché col coronavirus stiamo sbagliando".
Ma l'Italia era accecata dal pensiero del "tutti a casa" come soluzione catartica, e a Roma v'era un encefalogramma piatto, oggi ben condito dal florilegio di task force.
(Task force: se c'è di mezzo un termine in inglese, la fregatura è assicurata: ricordate la spending review? vedi qui e qui).
domenica 19 aprile 2020
Accadono cose

Accadono cose stranissime. Cinque aerei Vueling, da Barcellona, in questo momento sono in fila per atterrare a Fiumicino.
Non so di chi sia la regia, però è un gran film.
giovedì 16 aprile 2020
Nobody ever notices such things

Da qualche decennio mi accompagna il ricordo del furto di una palla, ad opera di Dean Moriarty, che se ne uscì tranquillo dal negozio facendola rimbalzare sul palmo della mano, perché nessuno si accorge mai di queste cose.
Il momento migliore per fuggire senza dar nell'occhio è verso mezzogiorno, e la memoria è una cosa meravigliosa.
"Nothing happened that night; we went to sleep. Everything happened the next day. In the afternoon Dean and I went to downtown Denver for our various chores and to see the travel bureau for a car to New York. On the way home in the late afternoon we started out for Okie Frankie's, up Broadway, where Dean suddenly sauntered into a sports goods store, calmly picked up a softball on the counter, and came out, popping it up and down in his palm. Nobody noticed; nobody ever notices such things. It was a drowsy, hot afternoon. We played catch as we went along. "We'll get a travel-bureau car for sure tomorrow."
Jack Kerouak, On The Road.
sabato 11 aprile 2020
Shifting Involvements

Ho un ufficio mobile, un bureau péripatéticien (il francese nobilita) per leggervi dei bei libri. In Shifting Involvements Albert Hirschman costruisce una teoria dell'impegno pubblico incentrata sul ruolo della "delusione" nel consumo. Vi vede l'origine di un meccanismo endogeno per la creazione di cicli di impegno e disimpegno pubblico, senza certo escludere il ruolo di impulsi esogeni, come le guerre o altre catastrofi.
Ci si chiede come sarà il mondo dopo la pandemia. Chissà che essa non rappresenti uno schock sia esterno, per le sue inevitabili implicazioni macroeconomiche, sia interno: mostrando l'insostenibilità di un modello di consumo, e delle "metapreferenze" ad esso collegato, potrebbe portare a una delusione per così dire retrospettiva. E, per via rafforzata, a una stagione di impegno pubblico.
Albert Hirschman scrive molto bene: nell'ufficio mobile non accetto libri mediocri. Un altro bel libro che vi ho letto è di William Pomeranz, e si intitola "Law and the Russian State. Russia’s Legal Evolution from Peter the Great to Vladimir Putin".
Queste letture sono parte del progetto Rethinking Corruption, che avanza. Avanza peripateticamente, che vuol dire, un po' qui, un po' là: è una presenza shifting, o forse una deriva, cercando di non dar nell'occhio e sempre pronto a fuggire correndo.
domenica 5 aprile 2020
L'odore dei runner al mattino
Stanno usando gli elicotteri per stanare i runner. "alzandosi da differenti verticali" contro "quelli che se ne fregano dei divieti" e "fanno attività sportive correndo o pedalando sfacciatamente in tenuta agonistica a chilometri di distanza da casa".
E a Ferrara il vicesindaco leghista Nicola Lodi "ha dato in pasto ai suoi seguaci su Facebook un video in cui insegue un ‘runner’. Ma si tratta di una persona con degli importanti problemi che corre per vivere" (è da leggere questa squallisissima storia).
Giusto qualche tempo fa in tanti scrivevano una frase che presto diventò un fastidioso cliché:
"Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, non importa che tu sia leone o gazzella, l'importante è che cominci a correre."
Chissà dove sono finite ora, tutte queste gazzelle da tastiera.
sabato 4 aprile 2020
Costi psicologici

Ha decollato dall'aeroporto di Bologna. Ha sorvolato Milano disegnando un grande cuore, che poi, metodicamente, ha inscritto in una specie di pentagramma. Ora, mentre scrivo, apparentemente sta tornando a Bologna.
In tutta evidenza, così non può durare.
PS, 5 aprile. Qui sotto: lo stesso di ieri, oggi. O forse ci stanno irrorando, sistematicamente.

martedì 31 marzo 2020
Mito e cerimonia ai tempi del coronavirus
"Nasce la task-force tecnologica, 74 esperti contro il coronavirus L'annuncio della ministra per l'Innovazione Paola Pisano. Allo studio un app per il contact-tracing. Huffington Post, 31 marzo 2020."
Han costruito una specie di Assemblea costituente per metter mano a un problema che richiedeva non un inutile organismo pletorico, ma disposizioni esecutive; non ora, ma un mese fa.
Consiglio due letture. La prima è un classico della letteratura sociologica: "Institutionalized organizations: Formal structure as myth and ceremony." (di Meyer e Rowan). La "task-force" come mito e cerimonia; si forma perché è considerata appropriata, legittima e legittimante. E la scelta del termine inglese nobilita: una task-force è senz'altro da preferirsi a una "commissione", nel mondo di riferimento della Ministra Pisano.
Poi, l'idea del "no-business meeting", di quella gran penna che fu John Kenneth Galbraith. Ricordavo questa citazione, da "The Great Crash of 1929", di cui il Presidente Hoover verrà ricordato come uno dei grandi colpevoli. La chiusura è quasi alla maniera di Tacito.
"Yet to suppose that President Hoover was engaged only in organizing further reassurance is to do him a serious injustice. He was also conducting one of the oldest, most important—and, unhappily, one of the least understood—rites in American life. This is the rite of the meeting which is called not to do business but to do no business. It is a rite which is still much practiced in our time. It is worth examining for a moment.
Men meet together for many reasons in the course of business. They need to instruct or persuade each other. They must agree on a course of action. They find thinking in public more productive or less painful than thinking in private. But there are at least as many reasons for meetings to transact no business. Meetings are held because men seek companionship or, at a minimum, wish to escape the tedium of solitary duties. They yearn for the prestige which accrues to the man who presides over meetings, and this leads them to convoke assemblages over which they can preside. Finally, there is the meeting which is called not because there is business to be done, but because it is necessary to create the impression that business is being done. Such meetings are more than a substitute for action. They are widely regarded as action.
Men meet together for many reasons in the course of business. They need to instruct or persuade each other. They must agree on a course of action. They find thinking in public more productive or less painful than thinking in private. But there are at least as many reasons for meetings to transact no business. Meetings are held because men seek companionship or, at a minimum, wish to escape the tedium of solitary duties. They yearn for the prestige which accrues to the man who presides over meetings, and this leads them to convoke assemblages over which they can preside. Finally, there is the meeting which is called not because there is business to be done, but because it is necessary to create the impression that business is being done. Such meetings are more than a substitute for action. They are widely regarded as action.
The fact that no business is transacted at a no-business meeting is normally not a serious cause of embarrassment to those attending. Numerous formulas have been devised to prevent discomfort. Thus scholars, who are great devotees of the no-business meeting, rely heavily on the exchange-of-ideas justification. To them the exchange of ideas is an absolute good. Any meeting at which ideas are exchanged is, therefore, useful. This justification is nearly ironclad. It is very hard to have a meeting of which it can be said that no ideas were exchanged.
Salesmen and sales executives, who also are important practitioners of the no-business gathering, commonly have a different justification and one that has strong spiritual overtones. Out of the warmth of comradeship, the interplay of personality, the stimulation of alcohol, and the inspiration of oratory comes an impulsive rededication to the daily task. The meeting pays for itself in a fuller and better life and the sale of more goods in future the President was clearly averse to any large-scale government action to counter the developing depression. Nor was it very certain, at the time, what could be done. Yet by 1929 popular faith in laissez faire had been greatly weakened. No responsible political leader could safely proclaim a policy of keeping hands off.
The no-business meetings at the White House were a practical expression of laissez faire. No positive action resulted. At the same time they gave a sense of truly impressive action. The conventions governing the no-business session insured that there would be no embarrassment arising from the absence of business. Those who attended accepted as a measure of the importance of the meetings the importance of the people attending. The newspapers also cooperated in emphasizing the importance of the sessions. Had they done otherwise they would, of course, have undermined the value of the sessions as news.
In recent times the no-business meeting at the White House—attended by governors, industrialists, representatives of business, labor, and agriculture—has become an established institution of government. Some device for simulating action, when action is impossible, is indispensable in a sound and functioning democracy. Mr. Hoover in 1929 was a pioneer in this field of public administration.
As the depression deepened, it was said that Mr. Hoover's meetings had been a failure. This, obviously, reflects a very narrow view."
domenica 29 marzo 2020
Nuova tratta Ryanair

E poi è appena atterrato a Roma Ciampino il Volo Ryanair che era partito da Roma Ciampino.
Avrà avuto i suoi buoni motivi, ma arrivati a questo punto io credo a quel che mi pare.
Il pilota è scappato sulla pista, è salito, e ha messo in moto e spinto a manetta, urlando in preda a una specie di orgasmo.
Ora lo stan portando via legato, ma lui sorride felice.
Palloni di passaggio

Fa impressione osservare l'Italia quasi senza aerei che la sorvolano. Pochissimi collegamenti interni Alitalia, qualche jet privato, e qualche aereo militare - segnato nella mappa, un ATR72 della Guardia di Finanza. E qualche aereo che sorvola, con origine e destinazione lontana.
E così prendono spazio altre creature celesti.

Come questi palloni, a 50 mila piedi di quota, del Progetto Loon. Portano connettività in luoghi remoti. Forse ci si potrebbe aggrappare, per un passaggio.

sabato 21 marzo 2020
Il “modello ping-pong”: perché col coronavirus stiamo sbagliando
"10. Chiusura al pubblico di arenili in concessione e liberi, aree in adiacenza al mare".
Ordinanza del Presidente della Regione Emilia-Romagna
Stefano Bonacini, 20 marzo 2020.
"Il viandante che fosse incontrato da de’ contadini, fuor della strada maestra,
o che in quella si dondolasse a guardar in qua e in là, o si buttasse giù per riposarsi;
lo sconosciuto a cui si trovasse qualcosa di strano, di sospetto nel volto,
nel vestito, erano untori: al primo avviso di chi si fosse, al grido d’un ragazzo,
si sonava a martello, s’accorreva; gl’infelici eran tempestati di pietre,
o, presi, venivan menati, a furia di popolo, in prigione"
I Promessi Sposi, capitolo XXXII
Il sacrificio di chi è in prima linea, la tanta solidarietà, e anche certa ironia intelligente che ci aiuta a rimanere in casa: al meglio che il Paese sa offrire, in queste settimane si uniscono anche impressioni meno gradevoli, e qualche ricordo dei "Promessi sposi". Ad iniziare da quel dagli agli untori! che è benedizione per governanti spesso inadeguati, e anche per questo bisognosi di un nemico che defletta l’attenzione dai loro errori. Tra questi, uno è grave: pensare che un certo “modello” per forza continui a funzionare quando viene adottato solo parzialmente. Partiamo da una premessa per ogni ragionamento: il virus si diffonde tra persone tra loro vicine, e non se sono distanti.
Dalla Cina all’Italia: un modello ben diverso
In Cina, ampie zone della regione di Hubei, la cui popolazione è inferiore al 5% del totale nazionale, per far fronte all’epidemia sono state quasi completamente chiuse, sospendendo gran parte delle attività produttive. E’ stato possibile perché il resto di quel Paese ha continuato a produrre anche per loro. Viceversa, tutta l’Italia è oggi in una quarantena che è obbligatoriamente parziale: è indispensabile che i supermercati continuino ad essere forniti, e una riduzione ancor più forte delle attività economiche causerebbe danni ben superiori rispetto al virus – sino a pregiudicare, a un certo punto, il funzionamento degli ospedali stessi.
Tra Cina e Italia vi è quindi una differenza importante. Nel “Modello cinese” vi era un solo luogo di possibile diffusione del virus, l’abitazione: se lì arrivava, li si fermava. In quello italiano, ve ne sono due: l’abitazione e, per molti, il luogo di lavoro. Arrivato in un’abitazione, il virus rischia di passare a uno o più luoghi di lavoro, e da lì ad altre abitazioni: quello italiano potrebbe essere, insomma, un “modello ping-pong”.
E’ davvero così? Non sappiamo, perché i dati giornalieri delle nuove infezioni (e ancor di più dei morti) derivano da comportamenti di alcune settimane fa, e tutti speriamo che tra qualche giorno la curva delle nuove infezioni inizi ad appiattirsi per davvero. Questo mostrerebbe che, se “ping-pong” vi è stato, non ha inciso molto. Ma la possibilità del ping-pong, che deriva dalla premessa che la vicinanza tra le persone comporta il rischio di infezione, e non il contrario, mi pare una buona sintesi (estrema e riduttiva di una realtà più complessa, d’accordo) dello scenario peggiore che abbiamo di fronte.
Che cosa si dovrebbe fare e che cosa si sta facendo
Dirigenti responsabili dovrebbero reagire alla situazione come è nella realtà: le città sono oggettivamente quasi vuote e l’obiettivo del “tutti a casa” è stato sostanzialmente raggiunto. Dovrebbero affrontare i punti deboli del modello adottato, per minimizzare il rischio di contagio dove questo è presente: principalmente, nei luoghi di lavoro e nelle abitazioni. Nel secondo caso, per esempio, favorendo l’occupazione dei tanti appartamenti oggi liberi, per permettere innanzitutto ai lavoratori più a rischio di abitare per alcune settimane da soli.
Le autorità dovrebbero leggere i dati a disposizione con attenzione, per affinare la conoscenza degli elementi di rischio di contagio (anche se è difficile, perché i dati sono inadeguati). Dovrebbero indirizzare il dibattito pubblico verso la priorità da affrontare insieme: la riduzione dei rischi maggiori, che si hanno dove la distanza tra le persone è ridotta, non dove è ampia.
Non si è fatto nulla o quasi di tutto questo. Si è rimasti al modello rigido adottato inizialmente, che si è modificato solo per incremento di dose. Non si sono realizzati progressi nella produzione di dati di qualità, indispensabili per adottare soluzioni mirate e flessibili. Con inasprimenti successivi, si è attirata l’attenzione del pubblico, puntando il dito accusatore, verso comportamenti individuali – come il correre, o il camminare da soli in spiaggia - che non presentano rischi per la collettività, ma qualche beneficio: sia perché se si permette a qualcuno di star bene, è meglio per tutti, sia perché le case, se possibile e in sicurezza, vanno svuotate e non riempite. E il governante saggio sa che, soprattutto in tempi bui, è da stupidi prendersela con chi non fa danni.
A vantaggio di chi?
Se si considera il tempo di incubazione del virus e il decorso della malattia, le nuove infezioni e i morti di oggi derivano da comportamenti di qualche settimana fa. Tra questi, ricordiamo: la “Milano non si ferma”, la folla in fuga alla stazione di Milano, che poteva e doveva essere prevenuta e, a Bologna, la distribuzione di “card cultura” con lunghe file accalcate. Si è detto che l’invenzione di un nemico inesistente è sempre utile per deflettere l’attenzione lontano dagli errori di chi governa.
Ma la situazione è grave, e si richiede responsabilità sia a chi governa, sia a tutti noi. Perché lo scenario peggiore non è solo il “modello ping-pong”, ma quel che potrebbe seguirne: se inefficaci, i sacrifici che oggi accettiamo verrebbero contestati. E in quel tragico caso, la dannosa intolleranza che si respira oggi, in un classico meccanismo di azione e reazione, potrebbe alimentare un ben più scellerato eccesso: il “liberi tutti”.
* Ringrazio Giliberto Capano e Enzo Marinari per aver letto e commentato una prima bozza di questo testo
* Ringrazio Giliberto Capano e Enzo Marinari per aver letto e commentato una prima bozza di questo testo
venerdì 20 marzo 2020
Abbiamo un problema coi dati
Per tre anni (sino al 2018) fui membro della Commissione per la garanzia dell'informazione statistica. Chi ricopre un ruolo istituzionale ha il dovere di essere costruttivo e credo di aver dato il meglio di me stesso (forse, non gran cosa), perché prima di parlare o di scrivere ho sempre contato sino a dieci.
Ora lavoro per l'Autorità nazionale anticorruzione, all'interno di un progetto che ha per obiettivo il calcolo di indicatori di rischio della corruzione. Si richiede l'acquisizione di dati da altre istituzioni - ministeri, Istat, eccetera. Anche in questo caso, cerco di non dimenticare che il mio dovere è di aiutare a fare un passo in avanti - tacendo, quando necessario, ed evitando ogni polemica riguardo a certi evidenti fallimenti nella fornitura di informazioni statistiche, alcuni dei quali osservo trascinarsi irrisolti da molti anni.
Ho scritto altrove che una causa di questo fallimento italiano è da attribuirsi al ruolo nefasto del Garante per la garanzia della privacy. Che però, attenzione, talvolta o spesso fornisce un alibi agli altri attori coinvolti per non fare almeno una parte di quel che sarebbe necessario, così negando informazioni preziose al pubblico, alla comunità degli studiosi, e ad altre amministrazioni.
Qualche tempo fa mi candidai alla presidenza dell'Istat. A me e ad altri venne preferito un candidato molto "politico", in età da pensione e, da quel che si racconta all'Istat, oggi non soverchiamente dinamico nel modo in cui interpreta il suo ruolo - cosa che là dentro a molti certo non dispiace.
Si tratta di temi che sino all'altro giorno sembravano una bizzarria per addetti ai lavori.
Cambio di sipario: sfilano i camion dell'esercito che portano i morti del coronavirus agli inceneritori. Tutti i giorni alle 18 attendiamo i dati della Protezione civile e, guarda un po', osserviamo che non è che ci raccontino molto (si veda per esempio "I dati ufficiali sono un’illusione ottica", di Francesco Costa).
Certo che no. Ci vorrebbero ben altri dati, primo per capire, secondo per meglio contenere la diffusione del virus, e terzo per salvare persone. La prima cosa da fare era mettere in piedi un sistema di rilevazione puntuale, caso per caso, e una politica di condivisione di tali dati perché in tanti li potessero analizzare. E prima di tutto questo, "a monte", ci voleva una (molto) autorevole e franca telefonata al Garante per la privacy che all'incirca dicesse: "A questo giro, vedete di non rompere i coglioni".
Siete convinti ancora che l'informazione statistica sia questione per addetti ai lavori?
giovedì 19 marzo 2020
Se tutti facessero come te
Sino a ieri andavo a correre sui colli, praticamente in mezzo a un bosco e senza mai avvicinarmi a meno di un dieci metri dai pochissimi in giro. Oggi hanno impedito la corsa se non è "nei pressi di casa". Incontrerò più persone, spero che non sputacchino.
Ero un ragazzetto indisciplinato - non terribile ma un po' rumoroso. Alle medie c'era una mia compagna di classe che mi accusava: "se tutti facessero come te" (la situazione sarebbe insostenibile). Può essere che esagerassi, non saprei dire. Ma il "se tutti facessero come te" spesso (non sempre) è un ragionamento fallace.
Conosco una persona che si è trasferita a vivere a Cesena. Se tutti avessero fatto come lei ora Cesena sarebbe un'orrenda megalopoli da sette miliardi di persone. Ma siccome c'è molta varietà in giro, tante scelte individuali non comportano esiti catastrofici, e a Cesena non si è avuto un disastro umano e urbanistico. E a voler correre sui colli siamo in pochi, ma contribuiamo almeno un po' a liberare la città e tanti spazi pericolosamente chiusi.
Infatti, un modello alternativo allo "state in casa" consiste nell'incamminarsi tutti lungo direttrici radiali divergenti. Io, per esempio, in direzione crinale appenninico, a non incontrare nessuno. Certo, non si tratta di un modello realizzabile concretamente, ma è utile considerare che dal punto di vista del contemimento del virus sarebbe migliore, perché massimizzerebbe le distanze.
Ci sono tanti personaggi in giro a cui non par vero di poter puntare il dito verso i comportamenti altrui. Spesso si tratta di brava gente, come nel caso di quella mia compagna. Aggravano il problema: dato che la quarantena dovrà durare, converrebbe chiedere rigore nel mantenere le distanze, senza inventarsi norme più o meno a caso che rischiano di provocare irritazione e rifiuto. E "tutti a casa" facilita la diffusione del virus: in famiglia, allegramente.
Forse brava gente, ma pericolosa, perché contribuisce a un clima sociale sgradevole e pericoloso per il futuro. Perché ci sarà un futuro dopo il virus, no?
PS
Se tutti facessero come me: in questo momento, saremmo sparsi per i monti, e il problema sarebbe praticamente risolto
PPS
Le nuove infezioni che osserviamo oggi si hanno in seguito ai comportamenti di circa due settimane fa. "Milano non si ferma", per esempio, e a Bologna, "grande successo" "per la distribuzione della card cultura" (gente ammucchiata con benedizione delle autorità).
Ero un ragazzetto indisciplinato - non terribile ma un po' rumoroso. Alle medie c'era una mia compagna di classe che mi accusava: "se tutti facessero come te" (la situazione sarebbe insostenibile). Può essere che esagerassi, non saprei dire. Ma il "se tutti facessero come te" spesso (non sempre) è un ragionamento fallace.
Conosco una persona che si è trasferita a vivere a Cesena. Se tutti avessero fatto come lei ora Cesena sarebbe un'orrenda megalopoli da sette miliardi di persone. Ma siccome c'è molta varietà in giro, tante scelte individuali non comportano esiti catastrofici, e a Cesena non si è avuto un disastro umano e urbanistico. E a voler correre sui colli siamo in pochi, ma contribuiamo almeno un po' a liberare la città e tanti spazi pericolosamente chiusi.
Infatti, un modello alternativo allo "state in casa" consiste nell'incamminarsi tutti lungo direttrici radiali divergenti. Io, per esempio, in direzione crinale appenninico, a non incontrare nessuno. Certo, non si tratta di un modello realizzabile concretamente, ma è utile considerare che dal punto di vista del contemimento del virus sarebbe migliore, perché massimizzerebbe le distanze.
Ci sono tanti personaggi in giro a cui non par vero di poter puntare il dito verso i comportamenti altrui. Spesso si tratta di brava gente, come nel caso di quella mia compagna. Aggravano il problema: dato che la quarantena dovrà durare, converrebbe chiedere rigore nel mantenere le distanze, senza inventarsi norme più o meno a caso che rischiano di provocare irritazione e rifiuto. E "tutti a casa" facilita la diffusione del virus: in famiglia, allegramente.
Forse brava gente, ma pericolosa, perché contribuisce a un clima sociale sgradevole e pericoloso per il futuro. Perché ci sarà un futuro dopo il virus, no?
PS
Se tutti facessero come me: in questo momento, saremmo sparsi per i monti, e il problema sarebbe praticamente risolto
PPS
Le nuove infezioni che osserviamo oggi si hanno in seguito ai comportamenti di circa due settimane fa. "Milano non si ferma", per esempio, e a Bologna, "grande successo" "per la distribuzione della card cultura" (gente ammucchiata con benedizione delle autorità).
martedì 17 marzo 2020
Um suborno
Mentre son qui, a farmi dei bellissimi viaggi mentali e a progettare fughe più elaborate che da Alcatraz, e scrivo di corruzione, mi è venuto in mente che una volta ne filmai un tentativo (che in realtà fu di estorsione). Il 12 maggio del 2007 stavo viaggiando da Maputo a Inhambane - quasi 500 km lungo la costa, in direzione nord-est: un'intera giornata sulla strada.
Non ricordo come ottenni il passaggio da un'energetica signora portoghese che a Inhambane viveva. Con noi c'era anche una tipa americana, per metà di origini greche e per metà italiane. Voleva costruire un villaggio ecosostenibile o qualcosa del genere in un appezzamento di terra non lontano da Inhambane, che neppure era vicino al mare: a due passi c'è l'incredibile spiaggia di Tofu, dove mi fermai per un paio di giorni. Era anche musicista, e questo è un video con lei che, in Mali, suona con musicisti di Kora... ma passiamo oltre,che al solito sto divagando.
Si era dunque lungo la strada quando fummo fermati da poliziotti in impeccabile divisa bianca. La portoghese fu tostissima e non pagò nulla. Io ero seduto nel sedile posteriore dell'auto e filmai quasi tutto. Son tre brevissimi video, e l'ultimo si conclude coun un mio commento, in inglese.
E non si dica che, sulla corruzione, non faccio ricerca sul campo.
Non ricordo come ottenni il passaggio da un'energetica signora portoghese che a Inhambane viveva. Con noi c'era anche una tipa americana, per metà di origini greche e per metà italiane. Voleva costruire un villaggio ecosostenibile o qualcosa del genere in un appezzamento di terra non lontano da Inhambane, che neppure era vicino al mare: a due passi c'è l'incredibile spiaggia di Tofu, dove mi fermai per un paio di giorni. Era anche musicista, e questo è un video con lei che, in Mali, suona con musicisti di Kora... ma passiamo oltre,che al solito sto divagando.
Si era dunque lungo la strada quando fummo fermati da poliziotti in impeccabile divisa bianca. La portoghese fu tostissima e non pagò nulla. Io ero seduto nel sedile posteriore dell'auto e filmai quasi tutto. Son tre brevissimi video, e l'ultimo si conclude coun un mio commento, in inglese.
E non si dica che, sulla corruzione, non faccio ricerca sul campo.
domenica 15 marzo 2020
Sfumature virali
Gira, "virale", l'hashtag "Andrà tutto bene". Per esempio, nel sito del Ministero della Difesa, col due giugno delle Frecce Tricolori: l'Italia capace, organizzata, estrosa.
Secondo Altan invece - rubo da La Repubblica - "ce la faremo". Che è molto diverso da "andrà tutto bene".
Non andrà tutto bene: lo sa chi abbia un po' di sale in zucca. Nella migliore delle ipotesi ne usciremo con le ossa ancor più rotte di ora. E invece penso che sì, è vero che "ce la faremo", perché in qualche modo ce l'abbiamo sempre fatta, e in questo particolare senso e sfumatura, ho fiducia di questa cosa che chiamiamo Italia.
Sfumature diverse di intendere non solo il problema attuale ma, forse e indirettamente, appunto che cosa sia, questa Italia.
Il falso "Andrà tutto bene" è già virale, retorico e tronfio. "Ce la faremo (e se no, ce la faremo)", di quella retorica è il controcanto. Controcanto antiretorico che, qua da noi, fortunatamente non è mai mancato.

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