Per tre anni (sino al 2018) fui membro della Commissione per la garanzia dell'informazione statistica. Chi ricopre un ruolo istituzionale ha il dovere di essere costruttivo e credo di aver dato il meglio di me stesso (forse, non gran cosa), perché prima di parlare o di scrivere ho sempre contato sino a dieci.
Ora lavoro per l'Autorità nazionale anticorruzione, all'interno di un progetto che ha per obiettivo il calcolo di indicatori di rischio della corruzione. Si richiede l'acquisizione di dati da altre istituzioni - ministeri, Istat, eccetera. Anche in questo caso, cerco di non dimenticare che il mio dovere è di aiutare a fare un passo in avanti - tacendo, quando necessario, ed evitando ogni polemica riguardo a certi evidenti fallimenti nella fornitura di informazioni statistiche, alcuni dei quali osservo trascinarsi irrisolti da molti anni.
Ho scritto altrove che una causa di questo fallimento italiano è da attribuirsi al ruolo nefasto del Garante per la garanzia della privacy. Che però, attenzione, talvolta o spesso fornisce un alibi agli altri attori coinvolti per non fare almeno una parte di quel che sarebbe necessario, così negando informazioni preziose al pubblico, alla comunità degli studiosi, e ad altre amministrazioni.
Qualche tempo fa mi candidai alla presidenza dell'Istat. A me e ad altri venne preferito un candidato molto "politico", in età da pensione e, da quel che si racconta all'Istat, oggi non soverchiamente dinamico nel modo in cui interpreta il suo ruolo - cosa che là dentro a molti certo non dispiace.
Si tratta di temi che sino all'altro giorno sembravano una bizzarria per addetti ai lavori.
Cambio di sipario: sfilano i camion dell'esercito che portano i morti del coronavirus agli inceneritori. Tutti i giorni alle 18 attendiamo i dati della Protezione civile e, guarda un po', osserviamo che non è che ci raccontino molto (si veda per esempio "I dati ufficiali sono un’illusione ottica", di Francesco Costa).
Certo che no. Ci vorrebbero ben altri dati, primo per capire, secondo per meglio contenere la diffusione del virus, e terzo per salvare persone. La prima cosa da fare era mettere in piedi un sistema di rilevazione puntuale, caso per caso, e una politica di condivisione di tali dati perché in tanti li potessero analizzare. E prima di tutto questo, "a monte", ci voleva una (molto) autorevole e franca telefonata al Garante per la privacy che all'incirca dicesse: "A questo giro, vedete di non rompere i coglioni".
Siete convinti ancora che l'informazione statistica sia questione per addetti ai lavori?
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