venerdì 13 luglio 2018

Scuola Common ad Avigliana



Oggi termina, per me, la Scuola Common alla Certosa di Avigliana. Come mi capita quasi sempre, è andata a finire che ho appreso molto di più di quel che ho "insegnato". Questa mattina c'è stato un bravo educatore, Michele Gagliardo, che ha raccontato cose interessanti. "Insegnare è un atto di presunzione", ha detto, e l'ho sempre pensato. Ora la psicologa Angela La Gioia parla di "conflitto". Sta dicendo cose molto sensate e le sta dicendo bene. E del resto, ha detto, "noi dobbiamo proporre un linguaggio corretto". E' bene che ogni tanto lo si ribadisca - innanzitutto a se stessi.

Dettaglio. Domanda: "Voi come reagite al conflitto"? Risposta dal pubblico "O che scappo, o che picchio più forte che posso. Di solito, la seconda". Come non provare simpatia per questa gente. E sto banalizzando, come mi viene benissimo, le questioni molto serie (qualcuna, cruciale) che si stanno affrontando in questi tre giorni.

Ieri mattino all'alba sono andato a piedi alla Sacra di San Michele. Mi han raccontato che ne avrebbe tratto ispirazione Umberto Eco per "Il nome della rosa". Era avvolta nella nebbia, ma forse a volte è meglio non vedere bene, per poter meglio immaginare. E nella nebbia scompari anche tu, o quasi, e diventi poco più di un piccolo puntino blu. E' un esercizio utile per trasformarsi meglio in "comunità", che come qua dicono un po' tutti è indispensabile. Io sono del d'accordo con loro: o che si gioca insieme, o che sicuramente si perde. Ma io non son bravo, e al massimo posso tentare di sfocarmi nella nebbia.

Molte grazie a Leonardo Ferrante e agli altri organizzatori per avermi invitato.



ps

Cos'ho insegnato, poi. Il titolo era imbattibile ed è un bene che qualcuno lo abbia immortalato: "L'impatto non è noto, e i dati non sono dati". L'inclinazione dell'orizzonte disegnato dalla cattedra è sicuramente un'allegoria di qualcosa, di qualcosa di più grande di me che continua a sfuggirmi.

mercoledì 11 luglio 2018

Following Adrian, and more



Animula vagula, blandula,
Hospes comesque corporis,
Quæ nunc abibis in loca
Pallidula, rigida, nudula,
Nec, ut soles, dabis iocos.

(Piccola anima smarrita e soave, | compagna e ospite del corpo, | ora t'appresti a scendere in luoghi | incolori, ardui e spogli, | ove non avrai più gli svaghi consueti)

Ieri, il 10 luglio, morì Adriano. Si trovava a Baia ed era l'anno 138. Le belle righe sopra le scrisse, pare, poco prima della morte. Se ne parla qui. A me Adriano è sempre stato molto simpatico.

Valga come segnalibro per il sito Following Adrian. E' un'altra cosa da seguire, tra le tante, in questo esercizio di paranoia frazionaria nei confronti dell'Universo - nel senso che per (per)seguire tutto, devi dividerti frazionarmente all'infinito. (E' una specie di mappatura paranoica infinito-contro-infinito; un gioco di specchi complesso, articolato e subdolo se ce n'è uno).

domenica 8 luglio 2018

"It" (esso, quel)

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Questa mattina sono uscito di casa molto presto per andare a fare due passi in montagna. Alla fine, è venuta fuori una cosa esagerata da 44 chilometri e 2500 metri di salita.

Ora sono steso con una faccia beata e le pupille molto dilatate.

Sempre si cercano spiegazioni, credo sbagliando, ma è naturale. E la prima spiegazione a questi eccessi è che si alza la soglia. E' come farsi di coca: laddove prima ti bastava meno, poi ci vuole di più. Insomma, ti riempi e ti strafai - endorfine, legali, ma pur sempre una droga - se no non senti più niente. E questa è la prima teoria per cercare di capire.

La seconda è di segno opposto - invece che aggiungere, togliere. Get it out of your system: "it" (esso, quel) è qualsiasi cosa. Qualunque scoria accumulata, non nel corpo, ma nella testa. Ti annulli nella fatica, ti svuoti, scompari. 44 km alla fine agiscono come un clistere del cervello; alla fine, non c'è più niente, alla fine non ci sei più nemmeno tu.


Persone a me vicine optano per una terza spiegazione. La mia inclinazione maniacale-compulsiva mi porta ad affrontare qualunque task (così, immagino, nel gergo dei terapeuti occupazionali) allo stesso modo: esagerando, sia nell'intensità, sia nella ripetizione dell'atto, che viene ricercata, appunto, compulsivamente e maniacalmente. Questo è il punto di vista, di sostanziale adulazione, di chi mi è vicino. Chi mi è più lontano, gli stessi che mi osservano attentamente e che come in altre sedi ho avuto modo di dimostrare, tramano contro di me, ho motivo per credere che mi calunnino con una teoria meno favorevole nei miei confronti.

Questa mattina, poco dopo l'alba, diretto in stazione per andare in montagna sono passato da Piazza San Francesco. C'erano due persone che facevano Tai Chi, le ho fotografate, e mi son detto che ci sono tanti modi per mantenere l'equilibrio, ma non tutti ci sono dati.

mercoledì 4 luglio 2018

Mai



"Mai portarsi dietro più di quanto puoi tenere con una mano"

Questa cosa ogni tanto bisogna ripetersela, perché si sa, ma poi si tende a dimenticarla, o a lasciarla in disparte. E' come se si nascondesse dietro a tutto quel che si accumula, nelle nostre mani, attorno a noi, e soprattutto in testa.

Il punto di vista di Ramesh, il mio coinquilino ai Mesa Apartment nel mio primo anno a San Diego, era molto simile. Lui diceva, nulla che non stia in due sacchetti di plastica. And he meant it.

La foto l'ha fatta Daniela, che ringrazio.

Post scriptum, 9 luglio 2018. Osvaldo Croci, inviato molto speciale di questo blog a San Giovanni in Terranova (e uno dei tre lettori del medesimo), originario di Offida, mi racconta quanto segue. Joyce Lussu, marchigiana di famiglia nobile del fermano, trascorse molto tempo ad Offida, ed era amica di sua zia e dello zio Alberto, che ricordo con affetto. A Offida, Osvaldo organizzò alcuni incontri memorabili della Città Invisibile. Ad uno di questi partecipò Joice Lussu, già molto anziana. Quindi, la conobbi anch'io, ma onestamente non ricordo. Non è così importante: tenendo poco in mano, svaniscono anche i ricordi