domenica 24 dicembre 2023

Codici etici: chi controlla il controllore?

I codici etici vanno di moda, e sono parte del consenso di questi anni su come combattere la corruzione. Di moda anche sta diventando affermare che si intende non tanto combattere la corruzione, bensì  promuovere l'integrità. Sono convulsioni semantiche che segnano l'autunno di detto "consenso": ne parlo nel mio nuovo ponderosissimo libro ("Rethinking Corruption": qui).

Al pari di molti strumenti che dovrebbero lottare la corruzione, i codici etici si prestano ad un utilizzo partigiano per essere applicati con i nemici, ed interpretati con gli amici.

Il problema è particolarmente rilevante alla luce di un recente atto, il D.P.R. 81/2023, che impone nuove regole di condotta per la tutela dell’immagine della pubblica amministrazione.

L'Università di Bologna ha avviato un procedimento di consultazione, in vista dell'approvazione di modifiche al proprio Codice. Riporto pubblicamente il mio commento, sia perché sono convinto che siano altri a ledere la nostra immagine, sia perché mi è sempre piaciuto andarmela a cercare. 

--

Chi controlla il controllore, ovvero, il Rettore?

Ampliando l’ambito di applicazione del codice etico lo si rende ancor di più uno strumento utilizzabile selettivamente per punire o premiare. 

Pongo un esempio concreto. Si propone che: “Fatti salvi la libertà di espressione e il diritto di critica, il dipendente si astiene da interventi o commenti che possano nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’Ateneo o della pubblica amministrazione in generale". Qualche tempo fa venne pubblicato un “leak” (qui) contenente, tra l’altro, una lettera firmata dal Rettore Ubertini (Prot. 5725 del 06/06/2017; qui).

Apparentemente, il già Rettore non ritenne di rendere note a finanziatori di un nostro laboratorio delle informazioni a mio avviso essenziali riguardo a un’indagine interna scaturita da accuse di frode scientifica. A mio avviso, Ubertini violò il codice etico. 

Oltre a un problema particolare – un Rettore è “sopra al codice etico?” - se ne pone uno di portata ben generale: dove inizia e dove finisce la discrezionalità di applicazione del Codice? E se un Rettore applica il codice discrezionalmente, ovvero non "per etica", bensì per punire e premiare, sta egli stesso violando il codice? 

Il potere del codice come arma extra-istituzionale si alimenta dalla vaghezza, oltre che dall’estensione, dell’ambito di applicazione. Si consideri che parlai dei fatti ricordati, e della lettera di Ubertini, ai nostri studenti di dottorato. Avendo reso pubblico il testo della lezione (qui: "Plagio, falsificazione e invenzione dei risultati. L'etica della ricerca, le fondamenta del nostro lavoro": ), c’è la possibilità che ad aver leso “prestigio, decoro o immagine” dell’Ateneo risulti che non fu Ubertini, ma chi lo contestò. 

Potrei concludere scherzando, proponendo che si trovi un angolino, nell’articolato, per introdurre l’istituto dell’abiura riparatoria. Fuor di celia, segnalo che se le proprie critiche le si fa in classe, si è sotto l’ombrello dell’Art. 33 della Costituzione (libertà di insegnamento). Non mi pare che la proposta in discussione ne proponga la modifica. 

E quindi, riguardo alla libertà di espressione vi saranno regimi distinti a seconda che ci si esprima in classe, o fuori? Davvero? 

Cordialmente, 

Lucio Picci 
Professore ordinario di Politica Economica 
Dipartimento di Scienze Economiche