martedì 18 giugno 2019

Rocky steps



Visto che si parla della cosiddetta scalinata di Rocky, così ci capitai, mi pare. All'aeroporto di Atlanta ci arrivai in autobus, dopo che l'auto che mi avrebbe dovuto portare iniziò ad emettere vapore dal radiatore. La cosiddetta "Area Rep" dell'organizzazione che mi aveva mandato a fare la quarta liceo negli Stati Uniti mi piantò a un palo del bus e si dileguò. Fu la conclusione di una serie di eventi: accadde questo, ma se mi cacciarono di casa, l'ultima pagliuzza fu che avevo spintonato uno dei tre figli della host family contro l'enorme frigorifero. Ero affascinato da quei frigoriferi mostruosi e per me del tutto nuovi che sputavano anche i cubetti di ghiaccio. Forse nel mio delirio donchisciottesco, quel frigorifero lo scambiai per un mulino.

Prima, giusto un istante prima di quel tributo al grande frigorifero, quella specie di fratello adottivo dalla tasca aveva tirato fuori un coltello. E prima che il coltello uscisse dalla sua tasca avevamo discusso, animatamente ma senza nulla che somigliasse a violenza. Potrei srotolarla tutta sta vicenda, dall'inizio e passando anche per il cartello "Italian stinks" che il fratellino, caro, aveva appeso sul suo letto.

L'aereo riuscì a prenderlo e all'aeroporto di Philadelphia mi accolse Helen - Area Rep locale, molto più presente a se stessa rispetto alla suonata di Atlanta. Prima di portarmi dalla nuova famiglia andammo un po' a zonzo in auto in centro, passammo da South Market - il quartiere italiano. Mi disse con parole chiare che apprezzai, Lucio, se fai casino anche stavolta ti rispediamo in Italia. Forse è con lei e in quell'occasione che vidi i "Rocky steps". Ma a me Rocky non è mai piaciuto.

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