Rivetti. 12 aprile 1961.
Nell'aprile del 1961 avevo 6 anni. I primi tre anni della mia vita li avevo trascorsi nel dormitorio della fabbrica, e gli ultimi tre nel suo "condominio", che erano poi delle specie di caserme a un piano, una a fianco dell'altra e a formare un semicerchio, vicino al binario lungo il quale i treni merci raggiungevano la stazione.
Nella fabbrica la mamma era caposquadra. Avevano dei macchinari requisiti in Germania e producevano un po' tuto quel che poteva servire: secchi, bacinelle e, naturalmente, stufe, stufe a cherosene per cucinare il cibo, oltre a scarse lamiere zincate ondulate, coi quali si faevano i tetti delle case a Batumi e nei villaggi circostanti. Era, quella fabbrica, l'impianto per la zincatura di Batumi.
L'11 aprile mia madre ci radunò e, la sera, in treno, partimmo per la capitale Tbilisi. La mamma era in missione di lavoro, e con un compito molto importante, presso un altro stabilimento, dove producevano filo metallico. E rivetti. Oltre al certificato di viaggio, aveva con se tre lettere importanti, su carta intestata e con tutti i sigilli: dal direttore dello stabilimento, dal segretario dell'organizzazione di fabbrica del Partito della fabbrica, e dal presidente del comitato sindacale.
Quelle lettere riferivano concordi che la fabbrica per la zincatura di Batumi si stava impegnando per adempiere ai compiti fissati, dal partito e dal governo, per la produzione tempestiva di prodotti di qualità a beneficio del popolo, e anzi, per superare quei traguardi.
Ma la lettera del Partito dichiarava anche che la scarsità di rivetti minacciava quei successi, e un fallimento avrebbe significato che qualcuno non sarebbe stato in grado di cucinare o riscaldare il cibo su stufe a cherosene, perché, senza i rivetti, non le si poteva fabbricare.
Il capo sindacale dello stabilimento, invece, rendeva noto che senza i rivetti non avrebbero potuto rispettare il piano di produzione, e in quel caso i lavoratori non avrebbero ricevuto il premio per la Festa del Primo Maggio. Il direttore dello stabilimento, per parte sua, ricordò al collega della fabbrica di Tbilisi come mai, in passato, avesse presentato un reclamo presso il Ministero della Piccola Industria, in occasione delle passate interruzioni nella fornitura dei rivetti. Sperava che questo sarebbe stato tenuto in conto, nel considerare la sua richiesta: una valigia di rivetti, per saldare il debito nella fornitura prevista per il quarto trimestre del 1960.
Col treno arrivammo a Tbilisi la mattina dopo, e mia madre mi lasciò a casa di una sua amica della Scuola Tecnica Industriale, mentre lei andava alla fabbrica dei rivetti. La sua amica ci apparecchiò la tavola con tutti i tipi di dolci, biscotti e focacce, accese la radio che era appesa alla parete, e fatto quello corse al lavoro.
E fu con quella radio che iniziarono a dire, e per tutto il giorno a ripetere, di come la giornata fosse storica, e parlare dello spazio e di un astronauta, di un'orbita, di un figlio della patria ed eroe. Uno per cui il mondo intero provava orgoglio, ed era Yuri Gagarin.
Durante la pausa del pranzo l'amica di mia madre tornò di corsa e mi portò alla stazione. Là davanti arrivò un camion, dal quale scese mia madre e poi due uomini, che portavano una valigia molto grande. Andammo tutti al treno, e i due operai con fatica fecero salite sul treno la vligia, che in qualche modo misero nello scompartimento.
La mamma e la sua amica sulla piattaforma si abbracciarono e si salutarono. La mamma era molto felice, e la sua amica si congratulava con lei perché tutto era andato così bene, mentre lei, la mamma, sorrideva allegramente. E io mi sentivo bene e a mio agio,e fu una giornata luminosa e gioiosa per mia madre, per la sua amica e per me.
E così tornammo a Batumi, dove si trovavano la nostra baracca e la nostra fabbrica