giovedì 30 aprile 2015

Esilarante



Fatemi capire: io, con un semplice "click", potrei candidarmi per diventare Magnifico Rettore dell'Università di Bologna.

Poi uno dice, conta fino a dieci. Mica semplice.

lunedì 13 aprile 2015

Afronauta



Picasso ebbe il suo "periodo africano", e anch'io. La mia arte non è la pittura, o la scultura, ma la tuttologia, che di tutte le arti è madre, padre, zia, zio, nonna, bisnonna, e un infinito eccetera.

Del mio periodo africano sono esploratore e navigatore, sono, in una parola, un afronauta. Sto leggendo un bel libro di storia, Africans. The History of a Continent, di John Iliffe. Una di quelle grandi sintesi che a lettura conclusa ti senti non solo più colto, ma anche più buono.

E da poco ho terminato un libro veramente bello, una storia culturale dell'architettura italiana nelle colonie. Si intitola Moderns abroad, di Mia Fuller, che insegna all'Università di California a Berkeley.

Per meglio esplorare lo spazio coloniale, oggi il postino mi ha consegnato una copia della "Guida dell'Africa Orientale Italiana", del '38. Se ne parla qui.

Vi si trova una mappa di Addis Abeba che ancora non mostra i segni del nuovo piano regolatore. Si vedono anche i "Bagni termali", dove purtroppo non riuscii ad entrare, ma per poco.



Sino ad ora ho trovato quasi tutto quel che cercavo. Purtroppo è irreperibile il casco in sughero per il mio prossimo viaggio. La guida dice che per l'Africa ci vuole.

lunedì 6 aprile 2015

Detention



"For those deemed not trying hard enough, there is “effort academy,” which is part detention, part study hall." (At Success Academy Charter Schools, Polarizing Methods and Superior Results, di Kate Taylor, The New York Times, 6 aprile 2015).

La scuola americana era una gabbia di matti. Chi rompeva le regole rischiava la "detention" - rimanere in classe, recluso, oltre l'orario di uscita. Una mezz'ora, anche un'ora. Mi parve allora, e mi sembra ora, cosa da intervento ONU.

Io la detention non la presi mai. La volta che durante la lezione di storia, annoiato, con l'accendino mi applicai per bruciare il banco, i miei compagni dissero che l'avevo fatta franca perché ero straniero. Nella foto, il banco bruciacchiato è coperto dalla freccia arancione.

domenica 5 aprile 2015

I numeri dell'economia dei media



Abbiamo terminato la prima versione di un piccolo osservatorio sull'economia dei media.

Qui sopra, un grafico preso a caso. Dati in google drive, e output generato "on the fly". Divertente.

"Preso a caso" sino a un certo punto. Si evince che Sky è la più importante industria culturale del paese.

sabato 4 aprile 2015

Brutale esplosione



Sulla "barcaccia", il notorio parcheggio che Maurizio Sacripanti progettò a Forlì, prese posizione Bruno Zevi, sostenendo che “parcheggiare diventa uno spettacolo”, e aggiungendo, riguardo all'autore, che “ha sempre scelto l’aggressività dell’avanguardia, rifiutando ogni spurio compromesso ambientistico. Detesta l’irresponsabilità del Post-modern…., ha un acuto senso della mutazione artistica, tecnologica e mentale”.

Così vi fu, nel 2009, un appello di architetti per evitare la sua demolizione.

Ora pare che si arrivi al dunque, con un progetto di riqualificazione dell'intera piazza, che diventerebbe "giardino dei musei" - a congiungere i musei San Domenico e Palazzo Romagnoli (più in basso, qualche prefigurazione). La barcaccia verrebbe salvata, ma in qualche modo nascosta e depotenziata - non escluderei, orrore, col contributo di qualche orpello dal vago sapore post-moderno.

Sulla modernità dell'architettura brutalista si può discutere, e sono convinto che a un'opera architettonica si debba lasciare tempo per poter convincere. Si pensi a Guy de Maupassant che fuggì da Parigi per non dover sopportare l'orrore della Torre Eiffel. Ma la "barcaccia" di Sacripanti ha avuto più di trent'anni per convincere la città, e non vi è riuscita.

Agli architetti che, nel loro ruolo di vigili urbani della modernità, firmarono la petizione in favore della barcaccia, a mio avviso sfuggì un aspetto della questione.

Per rifiutare ogni spurio copromesso ambientistico, per scegliere davvero l'aggressività dell'avanguardia, l'opera brutalista dovrebbe estendere i suoi confini, per sfuggire una staticità castrante. Per estendersi a ulteriori spazi, simbolici ma anche materiali, che le possono essere assicurati solo grazie alla dinamicità non delle forme, per definizione immobili, ma dell'evento, o se preferite, dell'happening.

Si determini che la "barcaccia", in quanto opera architettonica che non fa compromessi, ne' prigionieri, include nella sua unitarietà artistica la sua autodistruzione finale, al tritolo. Ci si renda conto che l'opera brutalista può, e forse deve, includere una conclusiva e brutale esplosione.

E la "barcaccia" diverrà così opera conclusa, perfetta, ed eterna.

Sarebbe questo un buon modo, per i moderni - categoria alla quale mi fregio di appartenere - di mostrarsi veramente coerenti, conducendo sino alle estreme conseguenze quell'"acuto senso della mutazione artistica, tecnologica e mentale" di cui scriveva Bruno Zevi.






venerdì 3 aprile 2015

You've got to know statistics



Mi pare di capire che anche in Italia le iscrizioni ai corsi di laurea in statistica siano in aumento. Speriamo.

In questo articolo, apparso sul New York Times, si parla addirittura di "attenuation bias".