mercoledì 20 febbraio 2013

Intellettuali nella grande crisi



"Fare per fermare il declino", o "i bravi ragazzi che vogliono fermare il declino", mi era parsa una stupidaggine sin dall'inizio.

Ora Oscar Giannino rotola nel fango e noi siamo tentati dal farci belli, mentre coraggiosamente guardiam all'alto coi nostri diplomi autentici appesi al nostro ego. Tratteniamoci, anche se col sacrificio, perché quelli di "Fare" si ergono a meritocratici, e si sa che le punizioni per contrappasso offrono un extra di gustoso shadenfreude.

I sostenitori accademici di "Fare" sono intellettuali seri e con una reputazione internazionale tra il buono e l'ottimo. Han messo la faccia per un progetto che tenta una via autonoma e di rottura. La loro sconfitta è istruttiva e serve a disegnare il ventaglio delle scelte concesse agli intellettuali italiani negli anni della grande crisi:

A) Partecipare a giochi di potere accademico per appuntarsi medagliette di latta sulla toga. Il prezzo: quasi sempre, abdicare al proprio dovere di indipendenza (e qui Giannino ha ragione), ovvero tradire il proprio ruolo di intellettuale.

B) Intraprendere la scalata mediatico-televisiva (ecco le conseguenze, quando va bene), per partecipare a un dibattito pubblico di qualità trash come la televisione che lo ospita.

A) e B) talvolta si osservano congiuntamente nello stesso individuo, a cercare un circolo virtuoso ma perverso di legittimazione parallela che meriterebbe uno studio dedicato.

C) Tentare una scelta autonoma e organizzata. Come l'esperienza di "Fare", incappata prima in problemi di alleanze (Montezemolo) e poi in un banale problema di principal-agent (i diplomi di Giannino) - è difficile, di questi tempi, "fare" impresa, ancorché politica.

D) l'irrilevanza consapevole.

L'irrilevanza degli intellettuali è concausa ed effetto della grande crisi, e qui mi fermo, perché per rifletterci sopra meglio ci vorrebbe un Gramsci.

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