lunedì 20 agosto 2018

La Curva di Benetton


La Benetton fu fondata nel 1965. Inizialmente innovò molto, adottando processi di produzione snelli ed elastici che permisero tempi brevi tra progettazione dei capi e la loro distribuzione - per meglio seguire le mode, e anzi per permettere cicli di moda più rapidi. Benetton era un "caso di studio" degli anni '80 - per esempio, all'interno del corso di economia industriale che frequentai all'Università di Bologna.

Quella fase rappresenta la parte alta della "curva di Benetton", che oggi propongo come strumento interpretativo. Si pensi semplicemente a una linea che discende da sinistra a destra, col passare del tempo. All'inizio, in alto a sinistra, vi è la fase in cui si innova e si crea valore aggiunto.

Poi Benetton innovò di meno e uscì dalla lista dei casi di studio interessanti - il suo posto per certi versi lo prese Zara. E gli investimenti di Benetton si spostarono verso settori ben diversi, come la terra in Patagonia. Si dirà che quando le cose van non ancora male, ma peggio di prima, per i veneti diventare terratenenti è un destino - così fecero i veneziani nel '700.

E i Benetton si occuparono di autostrade, alla ricerca di rendite di posizione e di flussi di cassa. Non ho elementi per affermare che dietro alla concessione di cui hanno beneficiato vi siano stati episodi di corruzione. Ma mi occupo di corruzione da tanto tempo, e mi sento di fare una considerazione generale e del tutto slegata dai fatti concreti: se osservo profitti cospicui nello sfruttamento di rendite di posizione; condizioni contrattuali poco trasparenti; e ingenti attività (anche grazie ai profitti di cui sopra) di quel che eufemisticamente chiamiamo "rapporti istituzionali", dispongo degli strumenti analitici necessari per interpretare quei fatti. Almeno nelle loro linee generali.

E allora che cos'è la "curva di Benetton". Apparentemente è un concetto molto semplice, ma in realtà riassume una realtà complessa, perché non parla di un'impresa, o di una famiglia, ma di esperienze collettive. Della transizione da quando si investe per creare valore, a quando lo si fa per ritagliarsi fette di quel gli altri producono - sin che vi riusciranno. E riassume tanti fenomeni tra loro collegati. Perché quando in tanti producono meno valore, e si preoccupano di più di come accaparrarsi quel che c'è, è l'insieme dei comportamenti collettivi, delle istituzioni in senso lato insomma, che si modifica e si orienta verso quei fini. Cambia tutto, e quel che c'era prima crolla.

E veniamo allora al ponte crollato, metafora potente e tragica, e a un'altra chiave di lettura. Che bella la copertina della Domenica del Corriere, del 1964, per festeggiare il nuovo ponte, e che triste risulta oggi, dopo la tragedia. Appare come un manifesto beffardo di un altro dei tanti fallimenti di quell'high modernism che James Scott ha descritto meglio di tutti (ne parlo qui, qui e qui).

Quel fallimento, nel crollo del Ponte Morandi, si collega ad altri, ed interseca la parte destra, molto in basso, della curva di Benetton.

PS. 27/8/2018. Siccome ci vuole precisione, segnalo una notizia di oggi: Autostrade ha pubblicato la convenzione con il governo "La società che gestiva il ponte Morandi ha pubblicato anche gli allegati finanziari, che fino a oggi erano rimasti segreti". Il Post, 27 agosto 2018.

1 commento:

  1. soldi derubati agli italiani reinvestiti in argentina da parte
    della famiglia Benetton oggi a niente meno che 900.000 ettari di terra Patagonia,,,,

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