Il termine "corruzione" appare nei Quaderni del Carcere (di cui considero l'edizione Einuadi a cura di Valentino Garretana *) una ventina di volte (con qualche ripetizione di cui non ho avuto voglia di verificare il motivo). La prima occorrenza (Quaderno 1, pg. 36), riguarda l'osservazione "che lo strato che avrebbe potuto organizzare il malcontento meridionale diventava uno strumento della politica settentrionale, un suo accessorio «poliziesco»; il malcontento non poteva cosi assumere aspetto politico e le sue manifestazioni esprimendosi solo in modo caotico e tumultuario diventavano «sfera» della «polizia»."
Gramsci segnala come "a questo fenomeno di corruzione aderivano sia pure passivamente e indirettamente anche uomini egregi come il Croce e il Fortunato".
Il termine, qui, connota una distanza tra le intenzioni (per esempio, del Croce e del Fortunato) e l'effetto del loro agire, senza che nei confronti di questi vi sia condanna morale.
Ragionando dell’introduzione del suffragio universale ai tempi di Giolitti (Quaderno 1, p. 37), Gramsci segnala come esso, allargando "in modo impressionante la base parlamentare nel Mezzogiorno", "rendeva difficile la corruzione individuale (troppi da corrompere!)." Qui, il termine è nel senso dello scambio illegale.
La terza occorrenza del termine è per me la più interessante:
"L’esercizio «normale» dell’egemonia nel terreno divenuto classico del regime parlamentare, è caratterizzato da una combinazione della forza e del consenso che si equilibrano, senza che la forza soverchi di troppo il consenso, anzi appaia appoggiata dal consenso della maggioranza espresso dai cosi detti organi dell'opinione pubblica (i quali perciò, in certe situazioni, vengono moltiplicati artificiosamente). Tra il consenso e la forza sta la corruzione-frode (che è caratteristica di certe situazioni di difficile esercizio della funzione egemonica presentando l’impiego della forza troppi pericoli), cioè lo snervamento e la paralisi procurati all’antagonista o agli antagonisti con l ’accaparrarne i dirigenti, copertamente in via normale, apertamente in caso di pericolo prospettato per gettare lo scompiglio e il disordine nelle file antagoniste." (Quaderno 1, p. 59)
Qui il termine di corruzione, affiancato poi a "frode", indica uno scambio o mercimonio, ed è segnalato come derivante da una difficoltà di "governo" dell'egemonia, altrimenti basata su un misto di costruzione del consenso, e di utilizzo dela forza. La corruzione è quindi vista in modo esplicito come uno strumento di governo, se pure in una situazione di crisi.
Il termine "corruzione" appare tre volte immediatamente di seguito, ed è qualificato come "dissoluzione morale" e "tradimento di un principio", laddove Gramsci nota che "Nel periodo del dopoguerra, l’apparato egemonico si screpola e l’esercizio dell’egemonia diventa sempre più difficile.":
"Le forme di questo fenomeno sono anche, in una certa misura, di corruzione e dissoluzione morale: ogni gruppetto in terno di partito crede di avere la ricetta per arrestare l’indebolimento dell’intero partito e ricorre a ogni mezzo per averne la direzione o al meno per partecipare alla direzione cosi come nel parlamento [il partito] crede di essere il solo a dover formare il governo per salvare il paese o almeno, per dare l’appoggio al governo, di doverci partecipare il più largamente possibile; quindi contrattazioni cavillose e minuziose che non possono non essere personalistiche in modo da apparire scandalose. Forse nella realtà, la corruzione è minore di quanto si creda. Che gli interessati a che la crisi si risolva dal loro punto di vista, fingano di credere che si tratti della « corruzione » e « dissoluzione» di un «principio», potrebbe anche essere giustificato: ognuno può essere il giudice migliore nella scelta delle armi ideologiche che sono più appropriate ai fini che vuol raggiungere e la demagogia può essere ritenuta arma eccellente. Ma la cosa diventa comica quando il demagogo non sa di esserlo, quando cioè si opera praticamente come se si creda realmente che l’abito è il monaco, che il berretto è il cervello. Machiavelli e Stenterello."
Una sesta volta il termine appare (Quaderno I, p. 132) laddove si parla di emigrazione, nuovamente, nell'accezione di decadimento - anzi, decomposizione - "politica e morale":
"In Italia emigrò solo la massa lavoratrice, prevalentemente ancora informe sia industrialmente, sia intellettualmente. Gli elementi corrispondenti intellettuali rimasero e anch’essi informi, cioè non modificati per nulla dall’industrialismo e dalla sua civiltà; si produsse una formidabile di soccupazione di intellettuali, che provocò tutta una serie di fenomeni di corruzione e di decomposizione politica e morale, con riflessi economici non trascurabili."
Poi, Gramsci menziona la corruzione chiaramente nel senso di "tangente", considerando l'onestà di Quintino Sella, che "Si oppone all’approvazione del disegno di legge per la Regia dei tabacchi, presentato da un ministero di Destra perché c’era odor di corruzione e di loschi maneggi in quel grosso affare che il ministero Menabrea si accingeva a convalidare." (Quaderno II, p. 186).
Si riscontra inoltre il termine inoltre laddove si parla di Islam, confrontando i "nove secoli" impiegati dal Cristianesimo "a evolversi e ad adattarsi", con l'esigenza per l'Islam di "correre vertiginosamente". A questo riguardo, insieme ad altre considerazioni che ometto, menziona "il motivo del ritorno alle «origini» tale e quale come nel cristianesimo; alla purezza dei primi testi religiosi contrapposta alla corruzione della gerarchia ufficiale". (Quaderno II; p. 248).
Il termine appare un'ultima volta all'interno di un ragionamento sulla classe dirigente francese:
"E sono inattuabili anzitutto per colpa di tanta parte dell’aristocrazia e borghesia di Francia, poiché dalla corruzione e dall’apostasia di questa classe dirigente fino dal secolo XV originò la corruzione e l' apostasia della massa popolare in Francia, avverandosi anche allora che regis ad exemplum totus componitur orbis."
Si cita ancora il termine, direi nel senso di tangente, trattando il problema dei dazi, laddove Gramsci afferma che "Quando l’assenza di ma terie prime assurge a motivo di politica militarista e nazio nalista (non certo imperialista, che è grado piu sviluppato dello stesso processo) è naturale domandarsi se le materie prime esistenti sono bene sfruttate, perché altrimenti non si tratta di politica nazionale (cioè di una intera classe) ma di una oligarchia parassitarla e privilegiata, cioè non si tratta di politica estera, ma di politica interna di corruzione e di deperimento delle forze nazionali." (Miscellanea; p. 775).
Vi è poi una lunga citazione dagli Elementi di scienza politica di G . Mosca (Quaderno 8, p. 963) in cui il termine corruzione appare accanto a "bassezza e viltà" nel suo senso morale.
Di "corruzione del secolo" si parla inoltre in una citazione da Lanson, Storia della letteratura francese, Hachette, 19“ ed., pp. 160-61 (Miscellanea, p. 1005).
Riporto per intero, per l'attualità che ha alla luce delle recenti proteste in seguito all'omicidio da parte di forza di polizia statunitensi del nero Gerge Floyd:
"(117 ). Americanismo. La delinquenza. Di solito si spiega lo sviluppo della delinquenza organizzata in grande stile negli Stati Uniti come una derivazione del proibizionismo e del relativo contrabbando. La vita dei contrabbandieri, le loro lotte ecc. hanno creato un clima di romanticismo che dilaga in tutta la società e determina imitazioni, slanci avventurosi ecc. È vero. Ma un altro fattore occorre cercarlo nei metodi di inaudita brutalità della polizia americana: sempre lo «sbirrismo» crea il «malandrinismo». Questo elemento è molto più efficiente di quanto non paia nello spingere alla delinquenza professionale molti individui che altrimenti continuerebbero nell’attività normale di lavoro. Anche la brutalità delle «terze sezioni» serve a nascondere la corruzione della polizia stessa ecc. L ’illegalità elevata a sistema degli organi di esecuzione determina una lotta feroce da parte dei malcapitati ecc." (Quaderno 8, p. 1010-1011).
Qui corruzione può essere intesa sia come "della polizia", nel senso di una distanza tra quel che dovrebbe essere, e que che è, sia nel senso che poliziotti ricevono compensi illegali di qualche tipo che ne condizionano le azioni.
Laddove si afferma che "I libri dei «destri» dipingono la corruzione politica e morale nel periodo della sinistra, ma la letteratura degli epigoni del Partito d’Azione non presenta come molto migliore il pèriodo del governo della destra.", il termine è ben qualificato dagli aggettivi. (Quaderno 19, p. 1155).
(Riappaiono, nel Quaderno 13, dei brani già considerati)
La corruzione è nuovamente "politica" e "morale" in un riferimento a De Sanctis, che "accentua nel Rinascimento i colori oscuri della corruzione politica e morale; non ostan tetu ttii meriti che si possono riconoscere al Rinascimento, esso disfece l'Italia e la condusse serva dello straniero." (Quaderno 17, p. 1909).
E nuovamente, si ha "corruzione politica e morale" (Quaderno 19, p. 1977) "nel periodo della Sinistra al poteere", secondo i "libri dei «destri»".
(Nel Quaderno 19, a p. 2039 e 2040, riappaiono dei brani già considerati).
Per ultimo, il termine appare in un senso generale all'interno di considerazioni sull'"industrialismo": "anche l’antiproibizionismo non fu voluto da gli operai, e la corruzione che il contrabbando e il banditismo portò con sé era diffusa nelle classi superiori" (Quaderno 22, p. 2162).
Per riassumere: Gramsci utilizza il termine prevalentemente nella sua accezione antica (ma presente tutt'oggi) di decadimento morale, ma anche di distanza magari inconsapevole tra quanto è dichiarato, e quanto avviene nella realtà (il caso di Croce e Fortunato). In tre occasioni il termine è utilizzato nel senso di "tangente" (il primo, in cui si fa riferimeno al voto di scambio, più difficile da ottenersi col suffragio elettorale; il secondo, in cui si considera la "corruzione-frode" che si affianca all'utilizzo di "consenso e forza", quando queste da sole non bastano per governare, e il secondo, nel caso dei maneggi relativi alla "Regia dei tabacchi" scongiurati dal vigile Sella.
Particolarmente interessante è il secono dei tre casi sopra menzionali, a rappresentare l'intuizione che la corruzione possa essere un "metodo di governo", se pur in una situazione di crisi di un progetto egemonico, ovvero, come supporto alla combinazione di "consenso e forza".
(*) Antonio Gramsci. Quaderni del carcere. Edizione critica dell’Istituto Gramsci. A cura di Valentino Gerratana. Einaudi, 1975.
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