Ieri sera è andata in onda su "Rai Storia" una mia intervista (sopra), e la settimana scorsa l'Università del Sussex anche mi intervistò: “I was the ‘first’ Erasmus student” (di Jacqui Bealing).
Tali attenzioni derivano dalla notizia che pubblicò anni fa l'Università di Bologna, secondo la quale sarei il primo studente Erasmus in assoluto: E se fosse di Bologna il primo studente Erasmus? (Unibo Magazine, 8/5/2007).
Il bel programma televisivo che mi ha intervistato si intitolava "Storie di Europa", di Marta La Licata e Nicola Maranesi, con la regia di Graziano Conversano, e condotto da Serena Scorzoni, "per raccontare e narrare le storie dell'Italia che ce l'ha fatta". Si, un po' ce la la si fece, e un po' anche ce la si fu.
Sono misteriosi i meccanismi che talvolta portano una persona a divenire una sorta di metonimia vivente, nel rappresentare sia un'intera categoria umana, sia un messaggio e un significato collettivo. Per esempio, "Rosie the Riveter" raccontò lo sforzo bellico negli Stati Uniti, ma anche, una via di emancipazione femminile. Alexey Stakhanov, in Unione Sovietica, rappresentò la dedizione al lavoro e agli alti ideali rivoluzionari di un popolo eroico.
E a me tocca invece rappresentare e riassumere il noto fancazzismo di una generazione di Erasmus.
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