domenica 20 febbraio 2022

The Afghanistan Papers (oppure, "economia dei media")

 "This knowledge only came to light because the leadership of The Washington Post, my professional home for the past 23 years, made an institutional commitment to uncover the truth about the longest war in American history. When SIGAR repeatedly stonewalled my public-records requests, The Post faced a decision: back down and move on to an easier story, or else, sue the federal agency under the Freedom of Information Act (FOIA).

Hauling the federal government into court is not for the faint-hearted. FOIA lawsuits are almost always expensive and time-consuming—words that no editor wants to hear—and there is no guarantee a case will go your way. So I will be forever grateful to The Post’s leadership for their resolve and dedication."

The Afghanistan Papers. A secret history of the war. (p. 278), di Craig Withlock. Simon and Shuster, 2021.

Per diversi anni (forse troppi) ho insegnato "economia dei media" (qui), all'interno del corso di laurea magistrale in Mass Media e Politica. Recentemente l'Università di Bologna ha deciso di chiudere tale programma di studi, e così non ripeterò.

Nel corso degli anni ho tormentato i miei studenti in svariati modi, di cui fornisco un esempio. Ho argomentato che per parlare di media si deve essere in grado di ragionare di tecnologia (e di innovazione tecnologica), e si deve avere un'idea per quanto possibile precisa di una serie di "tecnologie abilitanti", anche nel loro sviluppo storico (non penso che interessi, ma qui si argomenta il come e il perché). 

Ho poi sottolineato altri ambiti di rilevanza di quel che potremmo chiamare le condizioni materiali della produzione dei media, ad iniziare dalla loro "struttura dei costi". Considerato anche che si parlava di rapporti tra mass media e politica, ho argomentato che il giornalismo investigativo è molto importante in una democrazia, ma è costoso e vulnerabile.

Al riguardo, ho terminato di leggere The Afghanistan Papers, di Craig Withlock, un giornalista del Washington Post. Racconta il disastro che è stata la guerra in Afghanistan e si basa su una serie di inchieste che si sono servite di "FOIA" ("Freedom Of Information Act": quel che noi chiameremmo "accesso generalizzati agli atti"). In alto riporto un breve brano che dà l'idea della complessità e del costo di quanto realizzato. E' un esempio di come non possa esistere giornalismo investigativo di qualità in assenza di organizzazioni abbastanza solide per realizzarlo.

Mi piacerebbe poter menzionare questo libro ai miei studenti per poterli provocare un'ultima volta, perché la situazione dei media in Italia è depressa e deprimente (ma buone cose accadono: per esempio, questo), e si deve saper guardare fuori. Non solo verso gli Stati Uniti, ma anche verso luoghi meno ovvi (per esempio, la Russia: qui).

Ma il tempo è scaduto, e non so bene come nel corso degli anni abbiano reagito a questo strano corso e alle sue piccole provocazioni quotidiane. Chi meglio e chi peggio, immagino. Alla fine, ad insegnare (ad avere la presunzione di avere qualcosa da raccontare) ci si trova sempre sul filo, tra incontro e disincontro.

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