sabato 4 aprile 2015

Brutale esplosione



Sulla "barcaccia", il notorio parcheggio che Maurizio Sacripanti progettò a Forlì, prese posizione Bruno Zevi, sostenendo che “parcheggiare diventa uno spettacolo”, e aggiungendo, riguardo all'autore, che “ha sempre scelto l’aggressività dell’avanguardia, rifiutando ogni spurio compromesso ambientistico. Detesta l’irresponsabilità del Post-modern…., ha un acuto senso della mutazione artistica, tecnologica e mentale”.

Così vi fu, nel 2009, un appello di architetti per evitare la sua demolizione.

Ora pare che si arrivi al dunque, con un progetto di riqualificazione dell'intera piazza, che diventerebbe "giardino dei musei" - a congiungere i musei San Domenico e Palazzo Romagnoli (più in basso, qualche prefigurazione). La barcaccia verrebbe salvata, ma in qualche modo nascosta e depotenziata - non escluderei, orrore, col contributo di qualche orpello dal vago sapore post-moderno.

Sulla modernità dell'architettura brutalista si può discutere, e sono convinto che a un'opera architettonica si debba lasciare tempo per poter convincere. Si pensi a Guy de Maupassant che fuggì da Parigi per non dover sopportare l'orrore della Torre Eiffel. Ma la "barcaccia" di Sacripanti ha avuto più di trent'anni per convincere la città, e non vi è riuscita.

Agli architetti che, nel loro ruolo di vigili urbani della modernità, firmarono la petizione in favore della barcaccia, a mio avviso sfuggì un aspetto della questione.

Per rifiutare ogni spurio copromesso ambientistico, per scegliere davvero l'aggressività dell'avanguardia, l'opera brutalista dovrebbe estendere i suoi confini, per sfuggire una staticità castrante. Per estendersi a ulteriori spazi, simbolici ma anche materiali, che le possono essere assicurati solo grazie alla dinamicità non delle forme, per definizione immobili, ma dell'evento, o se preferite, dell'happening.

Si determini che la "barcaccia", in quanto opera architettonica che non fa compromessi, ne' prigionieri, include nella sua unitarietà artistica la sua autodistruzione finale, al tritolo. Ci si renda conto che l'opera brutalista può, e forse deve, includere una conclusiva e brutale esplosione.

E la "barcaccia" diverrà così opera conclusa, perfetta, ed eterna.

Sarebbe questo un buon modo, per i moderni - categoria alla quale mi fregio di appartenere - di mostrarsi veramente coerenti, conducendo sino alle estreme conseguenze quell'"acuto senso della mutazione artistica, tecnologica e mentale" di cui scriveva Bruno Zevi.






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