(Pensierino su due storie che riguardano politici-accademici e plagio, in questi giorni)
Non distinguere tra "plagio-criminale" e "plagio-negligenza" (*), insomma non graduare le responsabilità, come sempre si dovrebbe, è parte del sistema in vigore che porta alla "scomparsa del plagio" (qui descritto nella sua incarnazione bolognese).
Il plagio "scompare" per il fallimento dell'istituzione, che non lo giudica mai (e quando lo fa, invoca strumentalmente la legge sulla privacy per non render noto il giudizio), per cui nulla viene mai determinato, e quindi graduato per livelli diversi di responsabilità.
Segue che chiunque sia accusato può arrampicarsi sugli specchi - al riguardo esiste una casistica interessante e persino divertente, da Stefano Zamagni a Francesco Boccia - mimizzando le proprie (eventuali, come sempre) responsabilità, del resto così oscillanti, in un mondo dove esse non vengono mai chiarite. E segue il moralismo che fa di ogni erba un fascio. Ma siccome ogni erba non è un fascio, il "frullatore", anche lui mentendo, e rendendo il plagio indistinto e generalizzato, lo condanna all'irrilevanza.
Il fallimento istituzionale e il moralismo si riflettono l'uno nell'altro; criminali e moralisti sono funzionali gli uni con gli altri.
Che interessante, il plagio.
(*) Sul plagio che è "negligenza". Si inizia con le "ricerche" copia-e-incolla alle scuole medie, si dirà, senza che il rigore venga insegnato. Ma noi professori universitari non possiamo certo prendercela con i docenti che ci hanno preceduto nel ciclo degli studi, perché anche noi, dimostratamente, non facciamo la nostra parte per insegnare a scrivere, e a citare. E del resto, noi plagiamo all'incirca impuniti. Ma nel nostro mestiere, il rigore è indispensabile.
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