mercoledì 22 agosto 2012

L'apriscatole di Giavazzi


"Ipotizziamo di avere un apriscatole", chiudeva una nota barzelletta sugli economisti (qui).

Francesco Giavazzi su Vox.eu insiste sul fatto che "The government still owns large fractions of publicly traded companies, among them Enel, Eni and Finmeccanica. It should sell them."

Sulla stessa linea quelli del manifesto "fermare il declino", che solo omettono di ricordarci, come fa Giavazzi, che "the city centres of most Italian towns have at least a couple of large, empty army barracks."

Sempre su Vox.eu, Charles Wyplosz ricorda a Giavazzi che "We know that selling out in the midst of a crisis takes the form of fire sales that are economically counter-productive (Krugman, 1998). While, we Europeans, are not Latin Americans – for whatever it means – the principles of economics know no geographical or cultural borders."

Scusiamo Wyplosz, che non è italiano, per non raccontare l'altra parte della questione: Enel, Eni e soprattutto Finmeccanica rappresentano un pezzo di sistema (politico-) produttivo il cui controllo, per una serie lunga di motivi, non è alienabile a meno di non voler ripensare in modo sostanziale alcuni tratti portanti del capitalismo italiano, e questioni che attengono alla sicurezza nazionale e alla politica estera - considerando il ruolo di Finmeccanica come ancoraggio ai rapporti atlantici italiani. E quindi Monti non venderà nulla, a prescindere da ogni considerazione di merito ed opportunità, se non altro perché il suo governo tecnico non ha il mandato per farlo.

Quella di Giavazzi è insomma una proposta retorica, quando non l'arguzia di una barzelletta: ipotizziamo di avere un apriscatole.


4 commenti:

  1. A parte tutti i tuoi giustissimi ragionamenti, io ne ho un altro, tangenziale: come garantire la congruità del prezzo di vendita del bene. Ritenendo (con tipico cinismo italiano) che tutti noi abbiamo un prezzo, e che con l'offerta giusta vendiamo anche le nostre madri, e notando il potere che improvvisamente mettiamo nelle mani di un commissario straordinario che deve vendere i pezzi pregiati del patrimonio dello stato, mi viene in mente un'articolo che utilizzai per un'analisi della sicurezza dei sistemi di votazione elettronica, Dan S. Wallach, Voting System Risk Assessment Via Computational Complexity Analysis, 17 Wm. & Mary Bill of Rts. J. 325 (2008), http://scholarship.law.wm.edu/wmborj/vol17/iss2/3 . Qui si propone come metrica della sicurezza di un sistema elettorale il numero di persone da controllare/corrompere per ottenere un voto in più a favore del tuo candidato, e mi viene naturale applicarla al caso in questione.

    Se il bene è sufficientemente prezioso da valere la pena agire in maniera scorretta per impossessarsene (e in questo caso stiamo parlando di beni MOLTO Importanti), allora ridurre il numero di persone che controlla o approva la vendita di un bene è per definizione un modo semplice per ridurre il costo complessivo della corruzione/controllo per ottenere il bene ad un prezzo radicalmente inferiore a quello di mercato. E questa è una caratteristica intrinseca della situazione legata al valore complessivo
    della vendita, e non alla modalità o alla onestà dei partecipanti.

    O sbaglio?

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  2. Il tuo ragionamento e' molto interessante e lo condivido in pieno. Ho qualche dubbio pero': e se quel mandato a vendere venisse dato ad un governo pienamente politico, magari in alternativa ad ulteriori tagli a quel che resta del welfare, la vendita di quel pezzo di capitalismo di stato di cui parli sarebbe accettabile? O mettendola in un altro modo, sara' mica questa la vera posta in gioco?

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  3. Fabio, facciamo l'esempio di Finmeccanica. Secondo la borsa Finmeccanica vale oggi 2.1 milardi di Euro, che corrispondono a circa 1 millesimo del debito pubblico italiano (sic). Vale meno della Campari, è stato fatto notare (3,15 miliardi): è che Finmeccanica ha 68k dipendenti, ma è molto indebitata. Il MEF possiede circa il 30% di quella quota. Un riferimento molto grossolano per il valore, quindi, è di circa 600 milioni. Ma quel 30% è una quota di controllo, per cui attribuire un valore e cercare un compratore sarebbe molto complesso e presenterebbe un alto grado di discrezionalità, anche perché non la potresti vendere a chiunque - astenersi cinesi, russi, buona parte del mondo arabo... chi ci rimane?. Senza contare che è un gruppo con forte presenza negli USA (tramite l'acquisita DRS) e UK (tramite Agusta-Westland): ci sarebbero delle forti preoccupazioni "atlantiche" per eventuali trasferimenti di tecnologia.

    Eni invece "vale" 85 miliardi, e Enel 14 - in entrambi i casi lo stato possiede circa il 30%. Come stima estremamemente grossolana del valore della quota pubblica in queste due imprese, stiamo parlando nel complesso dell'1.5% del debito pubblico italiano. Ecco i gioielli di familia.. ah, e poi ci sono "le caserme in centro".

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  4. Marco, stiamo parlando di una questione che non è all'ordine del giorno oggi e non lo sarà domani, quindi di un dibattito inutile che ci distoglie dalle questioni che invece meritano di essere discusse. In questo senso, non è posta in gioco.

    Non fraintendermi: un buon dibattito sui rapporti tra politica, Finmeccanica e forze armate sarebbe sacrosanto, anche contemplando modifiche strutturali. E lo stesso valga per l'ENI.. Ma sono questioni che ben poco hanno a che fare col debito pubblico.

    Cerchiamo di insegnare ai nostri studenti le capacità analitiche necessarie per mantenere separate le questioni che sono logicamente separate. Perché allora Giavazzi e altri insistono, all'interno del dibattito sul debito, a parlare di privatizzazioni impossibili (nel breve-medio periodo) e dall'impatto comunque assai modesto? A mio avviso concorrono tre motivi. Per primo, c'è un reale deficit di comprensione, da parte di molti economisti, del contesto più ampio dei temi che trattano. Secondo, si presentano posizioni che occupano spazi vuoti, all'interno di un dibattito che non è di idee, ma politico, nel senso che in esso si posizionano degli attori che non sono accademici puri, ma accademici in odore di politica. Le ambizioni politiche sono sempre legittime, ma in questo caso si intersecano in modo perverso col tritacarne dei media, che crea i mostri tuttologi a la Panebianco: se non hai qualcosa da dire su qualunque argomento rischi di uscire dal giro e di perdere visibilità, senza la quale non si va da nessuna parte.

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