lunedì 27 ottobre 2014

Sul crinale tra due futuri risplendenti

Ci tenevo molto ad esere presente all'incontro alla Leopolda, a Firenze, per contribuire anch'io al grande progetto di Renzi, che sta rivoltando l'Italia come un calzino. E in nessun modo volevo perdermi la grande manifestazione popolare organizzata a Roma dalla CGIL, convinto anch'io della centralità del lavoro.

Scelta apparentemente impossibile, ma spesso si dimentica che l'ubiquità è alla portata di tutti: basta situarsi in luogo abbastanza elevato per poter, con lo sguardo, presenziare da una parte e dall'altra.

Così, venerdì scorso sono andato in montagna.

Purtroppo, qualcosa è andato storto. Dal crinale del Passo della Nevaia, volgendo lo sguardo il più possibile verso quelle due città, quasi gemelle di un nuovo rinascimento, delle mal calcolate alture mi han sbarrato lo sguardo. Tutto quel che sono riucito a vedere, con vista strabica, è stata l'isola di Gorgona, e oltre, penso, Capraia e un indizio di Corsica.



Del resto, così come non si vedrebbe l'alba da una spiaggia del Tirreno, allo stesso modo non si può osservare il sole del nostro avvenire appostandosi, come ho fatto io, di fianco a una stupida escrescenza montuosa che si chiama "Poggio dei Malandrini".

In quel luogo sbagliato sono rimasto a leggere sin che la luce del tramonto me lo ha permesso. Ho riletto The Great Gatsby, che malgrado il tempo trascorso ricordavo ancora bene. Mi interrogarono persino a scuola, sul grande Gatsby. La luce verde sempre accesa sul pontile di Daisy, e Gatsby che ogni sera l'osserva; il desiderio, e il desiderio compiuto; il tempo che passa, ma che può essere rivissuto.



Riflettendo su tutto questo, ovvero sul rinascimento che grazie a Renzi e alla CGIL già stiamo riavvolgendo, col sole già calato e una sensazione di freddo mi son diretto verso il Rifugio di Porta Franca, dove mi attendeva una stanza.



Tanti rumori m'hanno agitato il sonno, e in un paio d'occasioni ho persino sentito qualcosa che grattava la rete su cui dormivo. Era quasi mattino quando ho visto il topo, di dimensioni cittadine. Sono uscito che era ancora buio.



Iniziava ad albeggiare mentre aggiravo il Monte Gennaio. Il Corno alle Scale era coperto da una nuvola.



Dal crinale, son disceso lungo le pendici della Foresta del Teso, che piano piano sto esplorando tutta.



Il sole e l'aria tersa han reso la giornata molto bella.



Una lunga discesa mi ha riportato al torrente Orsigna, da dove ero partito.



Ero partito dal borgo, percorrendo un sentiero un tempo percorso dai mercanti e dai contrabbandieri.



Riflettendo sul mio tentativo di ubiquità, e su come sia fallito, sono giunto a una conclusione. Firenze e Roma, Renzi e la CGIL: non ci si può recare a incontri così importanti per sentieri che furono percorsi da briganti, tra monti "dei malandrini", e dormendo coi topi.

E mi ha pervaso una sgradevole sensazione: a causa di una cattiva pianificazione, un je ne sais quoi di errato nel mio ragionamento, temo di aver perso un appuntamento con la Storia, quella con la maiuscola.

Renzi e l' Umarellighenzia



Alla Leopolda, Matteo Renzi ha affermato che una parte del ceto intellettuale si comporta di fronte al suo progetto come quei pensionati che, osservando la costruzione di una strada o l'apertura di un cantiere, scuotono la testa e commentano, "uhmmm come lavorano piano, uhmmm non ce la fanno mica a finirlo..."

A Bologna queste persone le chiamano gli "umarell": sono i pensionati che, mani dietro la schiena, osservano e commentano i lavori in corso. E in quel grande cantiere che sarebbe l'Italia renziana, abbiamo, ad osservare e a criticare, l'umarellighenzia: gli umarell dell'intellighenzia.

Quella di Renzi è una bella immagine e coglie nel segno, ma solo in parte: nel sempre molto colorato quadro italiano, numerosi si contano gli intellettuali che criticherebbero, ma non lo fanno per non schierarsi - non sia mai che arrivi la consulenza, o il consiglio d'amministrazione; quelli che plaudono, per motivi non dissimili, e i cerchiobottisti, che si collocano ottimamente per poter servire qualsiasi padrone, al costo di un modesto riallineamento secondo la bisogna.

Capisco l'avversione di Renzi nei confronti dell'umarellighenzia. Ma dal punto di vista dell'interesse generale, mi par più giusto preoccuparsi non per chi critica, magari con tono fastidiosamente petulante, ma per chi, malgrado un non del tutto disprezzabile stipendio garantito da professore universitario, ritiene che convenga innanzitutto esercitare un'interessata prudenza.

domenica 19 ottobre 2014

Alitarpato

"Alitarpato": chi crede, a ragione o a torto, che altri lo abbiano limitato nell'espressione della sua vitalità.

Esempi:

"Era una bella giornata, di quelle che infondono ottimismo, ma lui come al solito aveva un'aria alitarpata".

"No guarda, fai come preferisci. Non voglio certo lasciarti alitarpato".


Non sono sicuro che prenderà piede, ma io penso che una domenica in cui si inventa un nuovo aggettivo non è passata invano.

PS. Annesso all'aggettivo c'è anche il verbo, ma lascio la sua identificazione alla vostra immaginazione, perché non vorrei alitarparvi.

sabato 18 ottobre 2014

Firmato: Diaz



Ieri ho partecipato a una lunga riunione. A un certo punto, considerando un'opzione che avrebbe potuto attirare l'opposizione di certe forze potenti, e la nostra verosimile sconfitta, per descrivere quelle conseguenze probabili ho citato le ultime due righe del bollettino della Vittoria: "gli eserciti risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza".

Nessuno tra i presenti, e parliamo di persone colte, ha riconosciuto la citazione.

Quell'ultimo bollettino di guerra, un esempio notevole di retorica patriottica, è esposto, credo, in tutti i municipi italiani. La caduta nel vuoto della mia citazione mi ha sorpreso. Peggio: nel constatare che il mio materiale simbolico non era stato riconosciuto, mi sono sentito inferiore per numero e per mezzi. Ma con fede incrollabile e tenace valore, o viceversa, siamo riusciti a portare a termine la riunione.

giovedì 16 ottobre 2014

La nostra vita nel powerpoint di Renzi



Strana associazione di idee oggi, leggendo della nuova legge di stabilità presentata con l'immancabile powerpoint. Sarà perché dopo sei ore di lezione il cervello entra in uno stato simile alla fermentazione che porta i neuroni a lunghi salti, salti nel vuoto, solitamente, ma ad incocciare talvolta, causalmente, compagni neuroni mai incontrati prima.

Si creano allora collegamenti arditi, in quella politiglia mezzo fermentata, come quel che mi ha portato a pensare a My life in the bush of ghosts, bellissimo album di Eno e Byrne del 1981 (sopra, "Regiment").

Non so bene perché la legge di stabilità mi abbia ricordato quella musica, che non ascoltavo da tanto tempo. Ho ricostruito che il titolo deriva da un romanzo di Amos Tutola. Può essere che quella storia, che vagamente conoscevo pur non avendola letta, o l'effetto straniante della musica, mi comunicano l'angoscia che si prova nel vivere dentro a un powerpoint. Può essere semplicemente che dovrei smettere di mettere sei ore in fila di lezione. Tutto può essere, del resto, nel powerpoint di Renzi.

mercoledì 15 ottobre 2014

Binari



"I am non-binary transgender which means that I identify as neither man nor a woman. Some days I feel more masculine while other days I am feminine. Sometimes I feel completely genderless." (My life as a non-binary transgender teacher – and why I’m still closeted, Allie George, The Guardian, 15 ottobre 2015).

E' bello leggere le storie degli altri perché ti rendi conto della banalità, sotto un certo punto di vista, della tua vita binaria. Svegliarsi ogni mattina sentendosi all''incirca come la mattina precedente. Pochi soprassalti, al massimo ti chiedi, pioverà oggi?

Detto sia senza facile ironia. Si potrebbe provare, almeno ogni tanto, svegliandosi, a provare l'ebrezza di aver deragliato. Per sentirsi genderless? O, che so io, un enorme scarafaggio. O tutti e due:

"Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Lucio Picci si trovò trasformato in un enorme insetto. Genderless."

Già così si aggiungerebbe un piano ulteriore da esplorare, mi pare. In ogni caso, questa mattina mi sono svegliato e, effettivamente, stava piovendo.



domenica 12 ottobre 2014

Domeniche da diporto

Certi giorni sono molto avventurosi; altri, no. Talvolta, si spacca il mondo, se ne inclina l'asse di rotazione e si incasina la precessione degli equinozi. Certe domeniche, invece, al massimo ci si spinge a piedi sino a Parco Cavaioni. Con la macchina fotografica, per darsi un tono; col gps, per convincersi che c'è qualcosa d'avventura; ma è solo una domenica da diporto.



Da Via Saragozza, per un gran cancello, si entra nel parco di Villa Spada. C'è anche un bel giardino all'italiana.



Una statua. Sarà Ercole?



Prima di uscire dal parco e proseguire, c'è la collina di Windows.



Si sale sul parco San Pellegrino, da dove si vede tutta la fascia nord-ovest della città. Ci sono tanti alberi da frutta, di cui, quando è stagione, amo abusare.



Una strada privata, tra case di ricchi, è quasi in cima al contrafforte che divide il fiume Reno dal torrente Ravone. La chiesa di Casaglia è poco sopra il torrente.



San Luca è oramai alle spalle.



Non so perché ma mi è presa questa cosa dei campi arati. Era pieno di campi arati, oggi. Dev'essere stagione.



Usciti dal parco, e dalla strada privata, si procede per qualche chilometro sull'asfalto, ogni tanto incontrando case così.



Infine, si raggiunge l'apice della camminata, parco Cavaioni. Un luogo in passato molto vissuto dai bolognesi, usato per fare tante cose che qui non vale la pena trattare.



Da parco Cavaioni parte il sentiero che percorre il fondo valle del torrente Ravone. A un certo punto ho abbandonato il sentiero, ho guadato l'acqua e sono risalito di nuovo verso la chiesa di Casaglia.



Son risalito al bordo di un altro campo arato. Quanti campi arati, oggi. Chissà cos'era.



Parco Cavaioni e ritorno, prati, macchia fitta, attorno al torrente, e campi arati. Al ritorno, mentre scendevo dal parco San Pellegrino, ho incontrato Rosalia e una sua amica, "noi andiamo su, ai 300 scalini, c'è un'aperitivo. Forse. Hai visto se c'era nessuno?", "No. io torno giù". Evanescente. Al termine il contachilometri dice, quasi venti, ma non sembra. In queste giornate, è tutto tenue, sottovoce, e non lascia il segno.

sabato 11 ottobre 2014

Il dominio dell'aria



Durante la prima guerra del Golfo, allo snack bar della base dell'aeronautica militare statunitense a Maxwell, in Alabama, appesero un grande striscione con scritto: "Mitchell e Duhet avevano ragione" (vedi qui).

Bill Mitchell e Giulio Duhet furono i primi a teorizzare l'utilizzo strategico del bombardamento aereo.

Dalla prima guerra del Golfo in poi, nessun conflitto apparentemente risolto (quando lo si è risolto) con la forza aerea ha prodotto nulla di buono. Iraq e Afghanistan, si sa. La guerra di Libia ha lasciato un paese allo sbando, e ha avuto un secondo tempo in Mali. Per gli attuali bombardamenti in Siria contro ISIS, il Washington Post scrive oggi di fallimento. Viviamo anni di crisi del potere aereo.

L'opera principale del generale Giulio Douhet (nella foto) è un libro pubblicato nel 1921 e che mi piacerebbe leggere, per via del suo titolo poetico: "il dominio dell'aria". Sarebbe un bel titolo, per un libro non di guerra. Il dominio dell'aria: inteso nel modo giusto, è un obiettivo al quale tutti noi potremmo privatamente ambire.

Fumate!



L'altro giorno il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha presenziato alla posa della prima pietra di un nuovo stabilimento della multinazionale americana Philip Morris International. Nel nuovo stabilimento, che si trova a Crespellano, non lontano da Bologna, secondo quanto si desume dalla stampa verranno prodotte sigarette di nuovo tipo e "a potenziale rischio ridotto".

"Potenziale" e "ridotto": i danni "certi" e "enormi" del fumo alla salute sono noti. Ma siccome i paesi che lottano contro al fumo danneggiano la Philip Morris, questa talvolta risponde con gli avvocati: si considerino le azioni legali intentate nei confronti di Uruguay, Norvegia e Australia. E quanti più stabilimenti la Philip Morris avrà in Italia, tanto più potrà, in sede internazionale, sostenere di avere un legittimo interesse a proteggere i suoi investimenti (si veda il caso dell'Uruguay, per esempio): da oggi, in Italia, il fumo lo si potrà combattere un po' meno.

La presenza del Presidente del Consiglio è pubblicità regalata alla Philip Morris. Del resto, il nuovo stabilimento darà lavoro a qualche centinaio di persone, e senz'altro il Presidente Renzi è mosso da legittime preoccupazioni per il loro benessere. Inoltre, se allarghiamo la vista all'intera collettività nazionale, dobbiamo considerare che il fumo ha due effetti contrastanti: certo, fa incrementare le spese sanitarie, ma, accorciando la vita, fa risparmiare in pensioni. Per cui, con un po' di spending review sul lato dei costi, potrebbe anche essere che il tabagismo migliori le finanze pubbliche e, in ultima analisi, la felicità collettiva.

Un ragionamento economico di qualche tipo, del resto, spiega un più antico spot governativo a favore del fumo. Il manifesto sovietico raffigurato sopra è del 1950, e vi è scritto: "fumate sigarette!". Ne furono prodotte molte, all'interno del piano quinquennale, e con quella pubblicità generica - non è indicata alcuna marca - il ministero respnsabile tentò di incrementare i consumi. A discolpa degli autori, ai tempi di Stalin ancora non si conoscevano gli effetti mortali del tabacco.

Quale morale vogliamo allora trarre dalla vicenda. Secondo me, questa: la volontà governativa di pubblicizzare il tabacco può aversi all'interno di sistemi economici tra loro assai diversi, e indipendentemente dalla presenza o meno di un piano, sia esso quinquennale, o con qualunque altra scadenza temporale.

domenica 5 ottobre 2014

Il trefolo



Ricordo un pomeriggio di molti anni fa, a Forlì. Credo fossimo riuniti per una specie di presentazione del progetto del nuovo campus dell'Università di Bologna. Era la presentazione ufficiale di un progetto unico, un campus nel centro della città, ad occupare quel che era stata l'ampia area dell'ospedale. Ospedale dove io stesso fui ricoverato, da ragazzino, a causa di malanni sempre bizzarri.

C'era il Rettore di allora, Pier Ugo Calzolari, purtroppo scomparso qualche hanno. C'era il Professor Guido Gambetta, che in quegli anni mi pare dirigesse il "Polo di Forlì", e forse era presente anche il sindaco. Io al solito ero distratto nei confronti dell'ufficialità, e per questo non ricordo bene i dettagli.

Non ero seduto con gli altri, ma me ne stavo in piedi, all'ingresso della sala e a far casino con i miei colleghi non accademici. Vicino a noi c'era il modello del progetto da realizzare, vincitore di un concorso di architettura. L'asse di quel progetto era il cosiddetto "trefolo", un fascio di corridoi in uno spazio tridimensionale, che comunicano con dei blocchi di aule.

A un certo punto, il Rettore Calzolari chiese che si portasse in sala quel modello, per mostrarlo al pubblico. Io ero proprio lì che lo rimiravo, e mi sembrò una grande occasione per poter offrire il mio aiuto personale. Sicuro e sorridente iniziai a spingere il carrello su cui riposava quel parallelepipedo di vetro. Fui io, mentre avanzavo lungo il corridoio centrale della sala, ad introdurre il campus alle autorità, alla città, e al mondo.

Poche settimane fa, dopo tanti anni e in seguito a tanti sforzi, il trefolo è stato terminato, e l'altro giorno, armato di macchina fotografica, sono andato a visitarlo. Mi piace molto. Per terminare il campus ci vorrà ancora del tempo. Una fila intera di vecchi edifici ospedalieri deve ancora essere rimessa in sesto. Ma il più è stato fatto, ed è ammirevole.

Quel giorno di tanti anni fa assume ora un significato particolare. Fui io a produrre l'epifania del nuovo campus. Solo della sua maquette, si dirà: ma cos'è un'opera architettonica, se non la banale copia ampliata del suo modello?

Con questa domanda, retorica nelle intenzioni, anche per oggi vi saluto.