sabato 21 marzo 2020

Il “modello ping-pong”: perché col coronavirus stiamo sbagliando

"10. Chiusura al pubblico di arenili in concessione e liberi, aree in adiacenza al mare".
Ordinanza del Presidente della Regione Emilia-Romagna 
Stefano Bonacini, 20 marzo 2020.

"Il viandante che fosse incontrato da de’ contadini, fuor della strada maestra, 
o che in quella si dondolasse a guardar in qua e in là, o si buttasse giù per riposarsi; 
lo sconosciuto a cui si trovasse qualcosa di strano, di sospetto nel volto,
nel vestito, erano untori: al primo avviso di chi si fosse, al grido d’un ragazzo, 
si sonava a martello, s’accorreva; gl’infelici eran tempestati di pietre, 
o, presi, venivan menati, a furia di popolo, in prigione"
I Promessi Sposi, capitolo XXXII

Il sacrificio di chi è in prima linea, la tanta solidarietà, e anche certa ironia intelligente che ci aiuta a rimanere in casa: al meglio che il Paese sa offrire, in queste settimane si uniscono anche impressioni meno gradevoli, e qualche ricordo dei "Promessi sposi". Ad iniziare da quel dagli agli untori! che è benedizione per governanti spesso inadeguati, e anche per questo bisognosi di un nemico che defletta l’attenzione dai loro errori. Tra questi, uno è grave: pensare che un certo “modello” per forza continui a funzionare quando viene adottato solo parzialmente. Partiamo da una premessa per ogni ragionamento: il virus si diffonde tra persone tra loro vicine, e non se sono distanti.

Dalla Cina all’Italia: un modello ben diverso
In Cina, ampie zone della regione di Hubei, la cui popolazione è inferiore al 5% del totale nazionale, per far fronte all’epidemia sono state quasi completamente chiuse, sospendendo gran parte delle attività produttive. E’ stato possibile perché il resto di quel Paese ha continuato a produrre anche per loro. Viceversa, tutta l’Italia è oggi in una quarantena che è obbligatoriamente parziale: è indispensabile che i supermercati continuino ad essere forniti, e una riduzione ancor più forte delle attività economiche causerebbe danni ben superiori rispetto al virus – sino a pregiudicare, a un certo punto, il funzionamento degli ospedali stessi.
    Tra Cina e Italia vi è quindi una differenza importante. Nel “Modello cinese” vi era un solo luogo di possibile diffusione del virus, l’abitazione: se arrivava, li si fermava. In quello italiano, ve ne sono due: l’abitazione e, per molti, il luogo di lavoro. Arrivato in un’abitazione, il virus rischia di passare a uno o più luoghi di lavoro, e da lì ad altre abitazioni: quello italiano potrebbe essere, insomma, un “modello ping-pong”.
    E’ davvero così? Non sappiamo, perché i dati giornalieri delle nuove infezioni (e ancor di più dei morti) derivano da comportamenti di alcune settimane fa, e tutti speriamo che tra qualche giorno la curva delle nuove infezioni inizi ad appiattirsi per davvero. Questo mostrerebbe che, se “ping-pong” vi è stato, non ha inciso molto. Ma la possibilità del ping-pong, che deriva dalla premessa che la vicinanza tra le persone comporta il rischio di infezione, e non il contrario, mi pare una buona sintesi (estrema e riduttiva di una realtà più complessa, d’accordo) dello scenario peggiore che abbiamo di fronte.

Che cosa si dovrebbe fare e che cosa si sta facendo
Dirigenti responsabili dovrebbero reagire alla situazione come è nella realtà: le città sono oggettivamente quasi vuote e l’obiettivo del “tutti a casa” è stato sostanzialmente raggiunto. Dovrebbero affrontare i punti deboli del modello adottato, per minimizzare il rischio di contagio dove questo è presente: principalmente, nei luoghi di lavoro e nelle abitazioni. Nel secondo caso, per esempio, favorendo l’occupazione dei tanti appartamenti oggi liberi, per permettere innanzitutto ai lavoratori più a rischio di abitare per alcune settimane da soli. 
    Le autorità dovrebbero leggere i dati a disposizione con attenzione, per affinare la conoscenza degli elementi di rischio di contagio (anche se è difficile, perché i dati sono inadeguati). Dovrebbero indirizzare il dibattito pubblico verso la priorità da affrontare insieme: la riduzione dei rischi maggiori, che si hanno dove la distanza tra le persone è ridotta, non dove è ampia.
    Non si è fatto nulla o quasi di tutto questo. Si è rimasti al modello rigido adottato inizialmente, che si è modificato solo per incremento di dose. Non si sono realizzati progressi nella produzione di dati di qualità, indispensabili per adottare soluzioni mirate e flessibili. Con inasprimenti successivi, si è attirata l’attenzione del pubblico, puntando il dito accusatore, verso comportamenti individuali – come il correre, o il camminare da soli in spiaggia - che non presentano rischi per la collettività, ma qualche beneficio: sia perché se si permette a qualcuno di star bene, è meglio per tutti, sia perché le case, se possibile e in sicurezza, vanno svuotate e non riempite. E il governante saggio sa che, soprattutto in tempi bui, è da stupidi prendersela con chi non fa danni.

A vantaggio di chi?
Se si considera il tempo di incubazione del virus e il decorso della malattia, le nuove infezioni e i morti di oggi derivano da comportamenti di qualche settimana fa. Tra questi, ricordiamo: la “Milano non si ferma”, la folla in fuga alla stazione di Milano, che poteva e doveva essere prevenuta e, a Bologna, la distribuzione di “card cultura” con lunghe file accalcate. Si è detto che l’invenzione di un nemico inesistente è sempre utile per deflettere l’attenzione lontano dagli errori di chi governa. 
    Ma la situazione è grave, e si richiede responsabilità sia a chi governa, sia a tutti noi. Perché lo scenario peggiore non è solo il “modello ping-pong”, ma quel che potrebbe seguirne: se inefficaci, i sacrifici che oggi accettiamo verrebbero contestati. E in quel tragico caso, la dannosa intolleranza che si respira oggi, in un classico meccanismo di azione e reazione, potrebbe alimentare un ben più scellerato eccesso: il “liberi tutti”.

* Ringrazio Giliberto Capano e Enzo Marinari per aver letto e commentato una prima bozza di questo testo 

1 commento:

  1. Oro colato. Aggiungerei che i cinesi obbligano tutti
    a portare la mascherina, perché è evidente che anche se non difende, impedisce a chi è malato,
    seppur inconsapevole, di contagiare gli altri con facilità. E poi i cinesi si tolgono le scarpe quando entrano in casa. Tutte cose utili a costo zero. Ma qui continuano a dire che non servono. Certo servono più che impedire di passeggiare da soli in spiaggia.

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